Secciones
Referencias
Resumen
Servicios
Descargas
HTML
ePub
PDF
Buscar
Fuente


LO IUS MIGRANDI NELLA DOTTRINA GIURIDICA DI EMER DE VATTEL
THE IUS MIGRANDI IN THE LEGAL DOCTRINE OF EMER DE VATTEL
Vergentis. Revista de Investigación de la Cátedra Internacional Conjunta Inocencio III
Universidad Católica San Antonio de Murcia

Artículos científicos

Copyright © Vergentis. Revista de Investigación de la Cátedra Internacional Conjunta Inocencio III

Received: 23 April 2019

Accepted: 26 May 2019

Sommario: Il trattato Droit des Gens del diplomatico e giurista svizzero Emer de Vattel costituisce una pietra miliare nello sviluppo storico del moderno diritto internazionale. Pubblicato nel 1758, il trattato -tra i numerosissimi aspetti studiati- analizza il tema dello ius migrandi. Nella combinata e congiunta prospettiva d’analisi rappresentata dal diritto naturale e dal diritto delle genti, il giurista elvetico studia il concetto di migrazione con riguardo a due specifici aspetti: da una parte, il diritto di abbandonare il proprio paese e dall’altro “il diritto di abitare in qualche parte”. Sotto il primo profilo l’Autore si interroga circa la sussistenza ed il contenuto del diritto del singolo cittadino ad abbandonare il paese e la società di cui è membro ponendo particolare attenzione al concetto ed al ruolo del patto di società. Sotto il secondo profilo d’analisi il fenomeno migratorio viene analizzato in riferimento al diritto naturale dell’uomo di “abitare in qualche parte”. Il tema si congiunge dunque al delicato tema del diritto di asilo. Questa duplice prospettiva apre il quadro argomentativo su un ulteriore complesso e controverso aspetto: delineare quali siano i doveri (e al contempo i diritti) di una Nazione verso soggetti migranti richiedenti asilo ed accolti o stanziati sul proprio territorio.

Parole: diritto di migrare, diritto naturale, diritto d’asilo, diritto delle genti, contratto sociale.

Abstract: Vattel’s Droit des Gens is a milestone in the historical development of modern international law. Published in 1758, the treatise - among the many aspects studied - analyzes the theme of the ius migrandi. In the combined perspective of natural law and the law of nations, Vattel studies the concept of migration with regard to two specific aspects: on the one hand, the right to leave one's own country and on the other "the right to live somewhere". Under the first profile, the author questions the existence and the content of the right of the individual citizen to leave the country and the society of which he is a member, paying particular attention to the concept and role of the social contract. Under the second profile of analysis the migration phenomenon is analyzed with reference to the natural right of man to “live somewhere”. The theme is therefore linked to the delicate issue of the right to asylum. This dual perspective opens the argumentative framework on a further controversial aspect: the duties (and at the same time the rights) of a Nation towards asylum seekers.

Keywords: right to emigrate, natural law, law of nations, social contract.

1. INTRODUZIONE

Nel quadro di una prospettiva storico-giuridica assunta ad orizzonte d’indagine della presente ricerca, il concetto di migrazione1 presenta declinazioni e flessioni estremamente variegate ed eterogenee, ma tutte ad ogni modo riconducibili ad un unico comune denominatore: lo spostamento umano.

Elemento antropologico connesso alla natura stessa dell’essere uomo, lo spostamento fisico (individuale o collettivo, temporaneo o perpetuo, volontario o imposto) da un luogo verso un altro costituisce quell’unità minima alla base dell’idea stessa di migrazione: aspetto preliminare e propedeutico anche alla traslazione sul piano giuridico.

Nella sua spesso drammatica e dolorosa complessità concettuale e fenomenica, la migrazione appare e si manifesta come una figura nebulosa, rarefatta, impetuosa e - per buoni tratti - incontrollabile. Si tratta dunque un concetto ampio, dotato di una notevole forza espansiva e caratterizzato da confini estremamente fluidi e pericolosamente flessibili, un concetto al contempo polimorfo e policromo.

Da una parte, è infatti in grado di assumere attivamente forme e sembianze diversificate, ma anche di subire passivamente torsioni semantiche in relazione ai contesti sociali e normativi di riferimento; dall’altra parte, risulta caratterizzato da numerosi e differenti riflessi cromatici che sintetizzano e testimoniano una pluralità di aspetti talvolta solo apparentemente in contrasto, quali l’elemento giuridico, la riflessione filosofica, la componente etico-morale.

La migrazione (nella sua duplice e inscindibile essenza di concetto e fenomeno) è un tema - ed al contempo un problema - cardine nel quadro assai frastagliato e disarticolato della cultura giuridica occidentale tra età moderna e contemporanea.

Nella continua e contrastante tensione tra il distacco (che potrà essere a seconda dei casi e delle fattispecie: volontario, imposto oppure ordinato) e l’approdo, il concetto di migrazione (nelle sue molteplici configurazioni) oscilla ed ondeggia con andamento irregolare - lento o veemente - fra due aspetti focali che ne connotano in maniera profonda la lettura e l’interpretazione giuridica. Da una parte, la migrazione intesa quale condanna imposta (in tale direzione emerge, ad esempio, l’antico istituto giuridico del bando2 e quindi forme giuridiche di allontanamento forzoso da una comunità e da un territorio cui sino a quel momento si appartiene). Dall’altra, la migrazione concepita come diritto della persona, dunque non come una condanna imposta ad un consociato o una sorta di autocondanna che un soggetto si infligge e neppure come ordine impartito da un’autorità sovrana, bensì quale volontario, libero e legittimo esercizio di uno specifico diritto personale che potrà, in taluni casi, anche configurarsi come forma di resistenza passiva (si pensi in questa chiave a taluni profili della figura giuridica dell’esilio3).

Questo insieme - a tratti confuso e convulso - di tensioni e dicotomie, evidenza sintomatica di una elevata complessità circa lettura e interpretazione -anche e soprattutto giuridica- del fenomeno e concetto in esame, traspare dallo lettura e dallo studio di uno dei più noti e dibattuti trattati del diritto internazionale moderno, vera e propria pietra miliare nello sviluppo storico dello jus gentium: Le Droit des Gens, ou Principes de la loi naturelle appliqués à la conduite des affaires des Nations et des Souverains del diplomatico e giurista elvetico Emer de Vattel (1714- 1767)4.

Capace di esercitare una grandissima influenza anche sulla cultura giuridica dell’età contemporanea5, il trattato vatteliano6 si innesta storicamente nel contesto culturale dell’Europa settecentesca in cui il nascente pensiero illuminista –innervato ed influenzato da una profonda riflessione giusnaturalista- si salda al riformismo politico.

Nella sua duplice, ma congiunta veste di giurista e diplomatico, Vattel offre, attraverso una attenta, sintetica e puntigliosa analisi, una profonda rilettura del diritto delle genti 7, quale base della riflessione e contestuale studio del concetto stesso di migrazione e delle sue numerose declinazioni applicative con il fine di delinearne e tratteggiarne presupposti, contenuti e limiti.

In questo quadro Vattel approfondisce ed esamina due principi cardine del diritto internazionale pubblico8 conseguente al riassetto previsto ed imposto dalla pace di Westfalia del 1648: da una parte, il principio dell’equilibrio9 e, dall’altra, il principio di non intervento10. Ne consegue una ridefinizione e una reinterpretazione dell’entità Stato: infatti il principio della non ingerenza negli affari interni di altri Stati spinge il diplomatico elvetico a considerare i singoli Stati “come «persone libere che vivono nello stato di natura» dotati di piena autonomia nella gestione delle loro politiche interne, legittimati a operare respingendo il diritto di intervento di altri stati11.

In tale prospettiva polemizza con Grozio circa la possibilità che dalle violazioni del diritto di natura all’interno di uno Stato possa sorgere un diritto di intervento di altri Stati12 . Il tema condurrà al delicatissimo e alquanto dibattuto problema del rapporto tra diritto e morale, ed in particolare alla questione se possano connotarsi come giuridici anche gli obblighi non muniti di una sanzione giuridica. L’obiettivo del diplomatico elvetico è scongiurare il rischio che obbligazioni di carattere morale dei sovrani possano configurare e, al contempo, giustificare un diritto di intervento. A tal fine distingue tra un “diritto delle genti necessario” che obbliga i sovrani in coscienza (dunque solo nella loro sfera morale) ed un “diritto delle genti volontario13, basato sul valore vincolante di contratti e consuetudini, che invece obbliga giuridicamente i sovrani nei loro rapporti reciproci14.

Su tali premesse concettuali il diplomatico elvetico articola una attenta riflessione critica sul concetto di migrazione e, più in dettaglio, sulle caratteristiche di un vero e proprio diritto di migrare15.

2. LE DROIT DES GENS DI VATTEL: PERCORSI E PROSPETTIVE DELLO IUS MIGRANDI

Nel contesto di un profondo cambiamento di assetto politico ed istituzionale del diritto internazionale pubblico della tarda età moderna e nel quadro delle complesse dinamiche di inclusione e esclusione sociale16 dell’Europea settecentesca, la riflessione di Vattel circa il significato ed il contenuto dello ius migrandi si articola in una duplice ma congiunta, e spesso inscindibile, prospettiva di analisi: il diritto naturale 17 (dunque la riflessione giusnaturalistica) e il diritto delle genti (lo jus gentium).

Una prospettiva duale attraverso la quale il giurista elvetico guarda e studia il tema fornendo al lettore un articolato e particolareggiato panorama visivo.

La sua riflessione, desunta dallo studio del trattato Le Droit des Gens18, si sviluppa attraverso due poli concettuali in costante e necessaria tensione tra loro e posti alla base della lettura giuridica dell’idea stessa di migrazione: da un lato, l’elemento del distacco, dunque l’allontanamento, l’abbandono, la separazione; dall’altro, l’elemento dell’approdo, e pertanto l’asilo, l’accoglienza, il riparo, il rifugio.

Oscillando tra questi estremi di polarità opposta ma magneticamente attratti, il fenomeno migratorio viene ricondotto ed agganciato a due articolazioni giuridiche che, sebbene spesso in precario equilibrio, costituiscono in realtà i due aspetti in cui si struttura il diritto a migrare: il diritto di abbandonare il proprio Stato, le terre d’origine, ed il diritto di stabilirsi altrove. Si tratta di due facce della stessa medaglia.

Sotto il primo profilo, si cerca pertanto di indagare la forma ed il contenuto del diritto del singolo cittadino ad abbandonare non solo il proprio paese, ma anche - e di riflesso - la società di cui è membro.

Come vedremo a breve, si tratta di una questione estremamente delicata in quanto unisce e congiunge il sentimento morale affettivo ed emozionale di attaccamento naturale alla società ed il diritto dell’uomo ad essere libero e dunque “padrone di abbandonarla”: sintesi e punto di contatto tra sentimento morale, volontà e dimensione (nonché rilevanza) giuridica dell’azione posta in atto.

Sotto il secondo profilo, viene approfondito il diritto naturale dell’uomo, dice Vattel, ad “abitare in qualche parte sopra la terra”. Un diritto che, oltre a configurarsi come naturale, si connota come “necessario e perfetto nella sua generalità” ma “imperfetto relativamente a ciascun paese” in ragione del fatto che ogni Nazione, se da una parte ha doveri di accoglienza verso soggetti migranti che giungono nel suo territorio, dall’altra, detiene però il diritto di negare l’ingresso ad uno straniero qualora questo possa esporla ad un “evidente pericolo” o possa recarle un notevole pregiudizio. È un diritto che presenta una doppia lettura e connotazione giuridica: un lato attivo in quanto diritto dell’uomo a stabilirsi in un luogo diverso (e probabilmente lontano) dal proprio paese ed un lato passivo in quanto diritto dell’uomo ad essere accolto. Una duplicità probabilmente solo apparente. La lettura in chiave giusnaturalistica del diritto delle genti, nella sua metamorfosi moderna in diritto delle Nazioni, costituisce dunque la base per lo studio jus migrandi.

Pare interessante e davvero significativo sottolineare che Vattel affronta il tema del diritto di migrare in punti assai diversi della sua opera, a testimonianza anche di una visuale di analisi ampia e di carattere multifocale19.

Egli infatti ne parla sia nella parte del trattato dedicata allo studio “Della Nazione considerata in se stessa” (coincidente con il libro I), ma anche nella parte riferita alla “Nazione considerata nelle sue relazioni colle altre” (affrontato nel Libro II). Dunque si farà riferimento non solo all’assetto interno alla singola Nazione che deve fronteggiare in entrata o in uscita un flusso migratorio, ma anche all’assetto esterno e dunque congiunto a quel delicato quanto precario equilibrio tra Nazioni, quali entità sovrane distinte ed indipendenti. Il quadro interno ed esterno si riallaccia a sua volta ad un ulteriore elemento di studio di notevole portata: la migrazione (quale abbandono del proprio paese) viene infatti concepita ed analizzata non solo come azione del singolo (quindi quale fenomeno individuale), ma anche come azione di un intero popolo (e dunque come fenomeno collettivo, un fenomeno di massa).

3. LA STRUTTURA BIFRONTE DELLO JUS MIGRANDI

Ponendo dapprima attenzione all’assetto interno alla singola Nazione, il punto di partenza della riflessione di Vattel è capire se e quando sussiste un diritto dell’uomo ad abbandonare il proprio paese e la società di cui è membro, dunque un diritto a migrare.

Quali sono i requisiti e le condizioni affinché l’abbandono ed anche il solo l’allontanamento possano configurarsi come esercizio - legittimo - di un proprio diritto? Ed ancora: queste azioni sono il frutto di una decisione individuale o costituiscono l’effetto di un provvedimento da parte della autorità politica sovrana? La migrazione è sempre un atto di volontà (quale esercizio di un diritto innato alla persona riconducibile talvolta anche a forme di resistenza passiva) o invece può configurarsi e connotarsi come una imposizione, una condanna? Può essere invece una autocondanna?

Le tante e possibili questioni presentano e comportano notevoli implicazioni di carattere non solo giuridico. Cerchiamo di procedere con ordine, seguendo il ragionamento e l’argomentazione del diplomatico elvetico.

Vattel contempla ed analizza tre diverse fattispecie nelle quali può configurarsi in capo ad un soggetto il diritto a migrare.

Per addentrarsi nel tema e dunque prospettare la prima di queste fattispecie, Vattel sottolinea, sulla base dello stretto rapporto tra obblighi morali ed obblighi di natura giuridica, la rilevanza e la centralità del sentimento di riconoscenza (tramutatosi in obbligo di natura morale) che i figli devono prestare nei confronti della società nella quale essi sono nati. L’elemento affettivo e sentimentale è preliminare e per taluni aspetti anche prodromico al valore ed alla rilevanza giuridica dell’azione.

Questi figli sono quindi obbligati a riconoscere la protezione e la sicurezza che la società ha accordato e garantito ai loro padri; sono pertanto debitori verso di essa. Sono moralmente tenuti ad amarla e a dimostrarle una giusta e doverosa riconoscenza. Tale obbligo, che oltrepassa presto i confini della morale, nasce dalla appartenenza del soggetto alla società: i figli - spiega Vattel - hanno infatti il diritto di entrare nella società di cui i loro padri erano e sono membri.

Il diritto dei figli ad entrare a far parte della società cui appartengono i loro padri è un diritto individuale, un diritto del singolo soggetto20, il quale, in virtù ed in forza della propria libertà naturale, può legittimamente decidere se avvalersene oppure no. Potrà dunque liberamente e legittimamente decidere e scegliere se esercitare quel diritto.

Ogni uomo nasce libero”, dice emblematicamente il giurista elvetico. E proprio in ragione di tale libertà, il figlio, una volta giunto alla “età di ragione”, potrà valutare se gli convenga unirsi alla società che lo ha visto nascere per diventarne quindi membro e assumere le vesti di vero e proprio cittadino. In questo passaggio si congiungono elementi diversi: il sentimento di riconoscenza, il senso di appartenenza ad una comunità e la libertà (nonché diritto) di valutare vantaggi e svantaggi conseguenti al divenire membro di quella società. Qui si origina, con riferimento a questa prima fattispecie considerata, il germe del diritto di migrare e dunque di abbandonare il proprio paese. Il singolo è padrone di abbandonare il proprio paese, ma al contempo assume nei riguardi di esso un duplice obbligo: da una parte, il dovere di risarcire la società per quanto essa ha fatto in suo favore21 e, dall’altro, il dovere di mantenere e conservare verso di essa sentimenti di affetto e di gratitudine. La dimensione morale è il substrato della riflessione giuridica.

Tuttavia, e di questo è ben conscio Vattel, gli obblighi ed i vincoli di un soggetto nei confronti del proprio paese possono essere soggetti a mutamento o addirittura svanire, in relazione al fatto che il singolo abbia legittimamente deciso di abbandonare il proprio paese al fine di eleggerne un’altro, oppure ne sia stato meritoriamente escluso o allontanato contro giustizia. Ed è proprio in relazione alla sussistenza ed alla natura di questi aspetti che si apre nella riflessione vatteliana quell’ampio ed articolato ventaglio di figure cui dedicherà importanti e significative pagine: gli emigranti22, gli esuli23, i banditi24 ed i supplichevoli25. Figure diverse e diversificate (anche dal punto di vista giuridico) ma ricondotte ed inglobate nella macrosfera concettuale della migrazione, nella consapevolezza che essa possa essere non solo una scelta libera legata ad uno stato di necessità, ma anche una imposizione o una condanna.

Ponendo dunque attenzione alle ipotesi in cui si può abbandonare legittimamente il proprio paese e lasciare con diritto le proprie terre, Vattel analizza il caso in cui la decisione di lasciare il paese (quindi la scelta di migrare) venga assunta non da un figlio che raggiunge “l’età della ragione” (ipotesi analizzata nella prima fattispecie ed assunta a paradigma di partenza) bensì dal “figlio di un Cittadino divenuto uomo” che “opera siccome Cittadino”.

Come può un uomo, cittadino ad ogni effetto, abbandonare la propria società?

Lasciare legittimamente il proprio paese? Come può decidere di migrare?

La risposta radica nel concetto di patto di società che diviene dunque il perno argomentativo intorno a cui ruota la riflessione di Vattel.

Con il vincolo contrattuale che lo unisce alla società, il singolo cittadino in quanto tale assume ed accetta un insieme di obblighi che “s’impegna espressamente e formalmente” a rispettare. Si tratta, osserva acutamente l’Autore, di obbligazioni “più forti e più estese” rispetto a quelle che vincolano e legano un figlio che giunge alla “età della ragione”.

Ma quali sono allora i requisiti che devono sussistere affinché un cittadino possa abbandonare lecitamente e legittimamente la propria società ed il proprio Paese? Il cittadino è legato alla società da un contratto di società che ne determina diritti ed obblighi. In relazione ed in considerazione di esso si definiscono le condizioni necessarie per la sussistenza e l’esercizio del diritto a migrare.

Secondo Vattel, poiché la società non viene costituita per un arco temporale determinato e specifico, è consentito lasciarla solo ed esclusivamente quando questa separazione possa realizzarsi senza cagionare alcun danno alla società stessa. Di riflesso un cittadino non potrà abbandonare lo Stato -di cui è membro- in “congiunture” e situazioni tali da recare ad esso un notevole pregiudizio (si configurerebbe una condotta illecita).

A questo punto per delineare meglio i contorni ed i contenuti di tale diritto in questa seconda fattispecie considerata (ossia il diritto del cittadino ad abbandonare il proprio paese), Vattel ricorre alla figura del “buon cittadino” quale elemento di differenziazione e di paragone rispetto al cittadino tout court. Se, infatti, ogni cittadino in quanto tale ha diritto di abbandonare il proprio paese -allo scopo di stabilirsi altrove- a condizione che una tale decisione non comprometta o comunque non pregiudichi il bene del paese stesso, un “buon Cittadino” invece non si convincerà mai ad una simile scelta senza specifiche e gravi necessità, senza dunque che sussistano “fortissime ragioni”.

Abbandonare “con leggerezza” il paese e gli altri consociati, dopo averne ricavati “considerevoli vantaggi”, si configura - afferma Vattel - come un abuso della propria libertà.

Viene infine presa in considerazione una terza ipotesi di migrazione (in questo caso però non lecita) ossia l’abbandono del paese in situazioni di pericolo con lo scopo di mettersi in salvo. Si tratta, afferma Vattel, di un comportamento «vile» e di una manifesta violazione del patto di società con il quale tutti i consociati si sono moralmente e giuridicamente obbligati a difenderla. Si configura pertanto una violazione morale e giuridica del patto stesso. Vattel non esita a definire tali soggetti come “infami disertori” che lo Stato ha il diritto di punire severamente.

Fino a questo punto l’Autore ha cercato di spiegare e descrivere al lettore quali siano le condizioni e le circostanze in cui si può abbandonare per sempre o lasciare per un tempo determinato il proprio paese: situazioni in cui è dunque lecito migrare (in cui sussiste un diritto a migrare ed un diritto ad allontanarsi o assentarsi).

La sua argomentazione però vuole andare oltre. Vuole scendere più in profondità e delineare i casi nei quali un cittadino ha assolutamente diritto di rinunciare al suo paese e di abbandonarlo: si tratta di una chiave di lettura basata su specifiche ragioni derivanti dal patto di società. In queste situazioni, infatti, il diritto a migrare nasce direttamente dal vincolo pattizio che lega il singolo alla società di cui è membro. Quali sono allora i casi in cui il cittadino ha un diritto assoluto ad abbandonare il proprio Paese?

Anche sotto questo profilo l’Autore contempla e considera tre distinte ipotesi che si rivelano incredibilmente e sorprendentemente attuali.

In primo luogo, l’ipotesi di mancanza dei mezzi necessari per la propria sussistenza: il cittadino ha diritto di abbandonare il paese e di cercare altrove mezzi per il proprio sostentamento. Negare tale diritto sarebbe - dice Vattel - un assurdo.

In secondo luogo, il caso di inosservanza da parte del “corpo della Società, o chi lo rappresenta” degli obblighi verso un cittadino. Il venir meno in maniera assoluta a tali obblighi legittima il cittadino a ritirarsi, ad allontanarsi e ad andarsene.

Infine, terzo ed ultimo caso prospettato dal giurista elvetico, è quello in cui la “maggior parte della Nazione, o il Sovrano che la rappresenta26 voglia disporre una legge su temi ed aspetti rispetto ai quali il patto di società non prevede alcun obbligo di osservanza da parte del singolo cittadino. Aspetti sui quali dunque il patto sociale non obbliga e non vincola il cittadino a sottomettersi. In tale prospettiva i soggetti contrari a queste leggi detengono un assoluto diritto di abbandonare il paese, e dunque lasciare quella società per stabilirsi altrove.

Si tratta di un punto davvero delicato e complesso sul quale Vattel offre un esempio significativo. Se il Sovrano o la maggior parte della Nazione vogliono imporre una determinata Religione all’interno dello Stato, coloro i quali credono e professano un’altra religione, diversa da quella che si vuole imporre, hanno diritto di andarsene, di abbandonare il proprio paese e di portar con sé i propri averi e le proprie famiglie. Il caso prospettato coinvolge la dimensione interna dell’uomo, riguarda un affare di coscienza per il quale il singolo - dice Vattel - non può mai sottomettersi all’autorità degli uomini. Si tratta di un tema nevralgico che tocca la questione estremamente delicata della tolleranza.

Ulteriori esempi rientranti in questa terza categoria di situazioni che sostanziano un diritto assoluto a migrare sono rinvenibili e riscontrabili - secondo l’Autore - nell’ipotesi in cui uno Stato di carattere popolare (dunque con una forma di governo democratica) voglia eleggersi un Sovrano oppure nella circostanza in cui una Nazione indipendente assuma la decisione di sottomettersi ad una potenza straniera.

Il diritto “assoluto” del cittadino ad abbandonare il paese nasce dunque dalla violazione del patto contrattuale; è una diretta conseguenza della inosservanza del patto che lega vicendevolmente il singolo alla società. Quell’accordo infatti origina un vincolo reciproco e di natura bilaterale: nel momento in cui una delle parti contraenti non osserva i propri impegni, l’altra non risulta più tenuta all’adempimento degli obblighi su di essa gravanti. Pertanto: se, da un lato, il cittadino ha diritto di migrare quale conseguenza e reazione alla violazione e trasgressione del patto (e qui si possono anche intravedere aspetti legati alla costruzione concettuale del diritto di resistenza27), dall’altro, la società ha il diritto di espellere un proprio membro che ne trasgredisce le leggi.

Il diritto ad abbandonare il paese (pur in forme diverse quali concrete declinazioni giuridiche di esercizio dello stesso) costituisce solo una faccia del diritto a migrare. Nella riflessione vatteliana infatti lo jus migrandi ha una struttura bifronte: da una parte, il diritto a lasciare il proprio Stato; dall’altro, il diritto a stabilirsi e stanziarsi altrove, definito e concepito dal giurista elvetico come il diritto naturale dell’uomo ad abitare da “qualche parte sulla terra”. Elementi complementari l’uno all’altro, in una sorta di necessaria quanto apparente contrapposizione.

Ma, si badi bene, è proprio l’unione di questi due diritti a sostanziare e sintetizzare il concetto ed il contenuto dello ius migrandi.

Il diritto naturale dell’uomo ad abitare - dice Vattel - da “qualche parte” conduce e al contempo si aggancia a sua volta alla sfera di un complesso e delicatissimo diritto: il diritto di asilo. L’avvicinamento a questo polo magnetico porta rapidamente ad un contatto sempre maggiore sino a determinare una sovrapposizione tra i due elementi ed una conseguente inevitabile commistione.

Secondo Vattel il diritto di asilo, così concepito e configurato, presenta una duplice e assai significativa connotazione: da una parte, è un diritto “perfetto” se considerato nella sua generalità; dall’altra, è un diritto “imperfetto” se rapportato agli specifici contesti dei singoli Stati. Da questa considerazione così sintetica, ma estremamente eloquente, Vattel deduce un’importante conseguenza relativa alla condotta che una Nazione può adottare nei riguardi di un soggetto che chiede accoglienza.

Entra qui in gioco un principio cardine nella vita di ogni Nazione, quello della difesa della propria conservazione. In forza di tale principio ogni Nazione ha infatti il “diritto di negare” ad uno straniero l’ingresso nel suo territorio nell’ipotesi in cui questo la possa esporre ad un evidente pericolo o possa arrecarle un notevole pregiudizio.

A questo punto il diplomatico ritiene opportuna nonché doverosa una precisazione: benché abbia il diritto di valutare se accogliere oppure no uno straniero nei propri confini, la Nazione, a meno che non sussistano gravi ragioni, non può negare l’abitazione ad un uomo allontanato dalla sua terra e richiedente asilo.

Occorre pertanto esaminare con grande attenzione la presenza di ragioni legittimanti la negazione dell’asilo. Infatti, “se ragioni particolari” non permettono alla Nazione di dare asilo ad un soggetto, questi - spiega Vattel - “non ha più alcun Diritto di esigerlo”.

Quali sono dunque queste ragioni legittimanti il diniego dell’asilo? Innanzitutto Vattel fa riferimento e richiamo alla impossibilità del singolo paese di far fronte contestualmente alle necessità della Nazione ed a quelle dello straniero. Richiama poi il pericolo di contaminazione, contagio e corruzione dei costumi dei cittadini, di turbamento della religione, e del verificarsi di “disordine contrario alla pubblica salute”.

Su questi aspetti però la Nazione - afferma Vattel - ha il diritto «ed anzi è obbligata» di perseguire le “regole della prudenza”. Una prudenza temperata che non perda mai di vista il sentimento di carità e di commiserazione.

4. DA AZIONE INDIVIDUALE A FENOMENO COLLETTIVO: IL POPOLO MIGRANTE

La congiunta e parallela lettura del “diritto di abbandonare il proprio paese” e del “diritto di abitare in qualche parte” proposta attraverso i paradigmi del diritto naturale e del diritto delle genti conduce Vattel ad affrontare un ulteriore e alquanto rilevante aspetto dell’analisi giuridica del fenomeno migratorio.

Come accennato nella parte introduttiva, il diplomatico elvetico studia il concetto di migrazione e la sua traslazione sul piano giuridico non solo nel quadro delle dinamiche interne alla singola Nazione, ma anche nella prospettiva del rapporto tra Nazioni, dunque in rapporto all’assetto internazionale.

Questo cambio di prospettiva si realizza con riferimento al diritto di abitare in un paese straniero attraverso una estensione, o meglio uno spostamento, di tale diritto da una dimensione soggettiva ed individuale ad una dimensione collettiva o nazionale. In altre parole, Vattel ritiene che quanto dimostrato in tema di ius migrandi con riguardo ai soggetti privati possa (ed anzi debba) estendersi alle intere Nazioni, all’elemento umano della Nazione, ossia il popolo. Il discorso argomentativo entra dunque in contatto con il tema delle relazioni tra Nazioni indipendenti.

Questa lettura, che nasce da una sorta di legame osmotico tra singolarità del soggetto all’interno dello Stato ed individualità dello Stato nella relazione con altre pari entità sovrane, si rapporta alla graduale e laboriosa metamorfosi dello jus gentium in età moderna. In tale prospettiva il contesto internazionale viene pertanto considerato e studiato come una sorta di estensione del sistema interno: un quadro internazionale in cui il singolo Stato ricopre un ruolo del tutto simile a quello svolto dal singolo individuo all’interno della propria Nazione.

Si tratta di una estensione analogica tra individuo e Stato che, da una parte, segna il passaggio dal piano interno al singolo Stato a quello internazionale (il quadro interno trasla su quello esterno relativo al rapporto tra Nazioni), dall’altra, porta ad una sorta di personificazione dello Stato il quale assume una connotazione - e dunque una rilevanza e dignità - giuridica del tutto simile a quella del singolo cittadino.

In tale prospettiva, la riflessione di Vattel si sposta dall’individuo considerato nella sua singolarità al popolo concepito nella sua unitarietà.

Il centro del discorso non è più rappresentato dal singolo cittadino, fulcro d’analisi con riferimento all’assetto interno della Nazione, bensì dal popolo inteso e concepito quale elemento umano dello Stato.

Si tratta allora di estendere ed ampliare con riferimento al soggetto popolo (inteso quale entità unitaria) la riflessione relativa al diritto di migrazione del singolo.

In quali circostanze ed in presenta di quali condizioni allora un popolo potrà esercitare legittimamente un proprio diritto a migrare? Quali sono le conseguenze di quella azione sulle altre Nazioni?

Sul punto Vattel è molto chiaro e sintetico: un popolo costretto a lasciare le proprie terre ha diritto di cercare asilo e la Nazione verso la quale quel popolo si rivolge dovrà prestargli accoglienza, almeno temporanea, a condizione comunque che non sussistano gravi ragioni per negarla.

Il passaggio argomentativo immediatamente successivo è dunque cercare di delineare quali siano (quali possano essere) le “gravi ragioni” in presenza delle quali una Nazione può legittimamente negare accoglienza ed asilo ad un popolo migrante. Prima fra tutte - risponde Vattel - l’ipotesi in cui il paese occupato da una Nazione, verso la quale si rivolge un popolo straniero, risulti ad essa stessa appena sufficiente e quindi incapace di fare fronte anche alle necessità ed ai bisogni di quel popolo richiedente asilo.

In questo caso -spiega Vattel- nulla potrà obbligare da un punto di vista giuridico la Nazione ad ammette al proprio interno degli stranieri; anzi essa potrà legittimamente respingerli o allontanarli. Tuttavia quel popolo migrante potrà con diritto stabilirsi nel primo paese dove troverà abbastanza terre senza che ne vengano privati gli abitanti e, una volta accolto, dovrà sottomettersi a tutte le condizioni - purché tollerabili- che saranno imposte dall’autorità di quel paese28. Pertanto se il paese occupato ed abitato da una Nazione è capace di fare fronte solo ai bisogni della propria popolazione, nulla potrà imporre a quella stessa Nazione di accogliere un popolo migrante.

A questo punto Vattel riprende un concetto davvero interessante e determinante: lo stato di necessità. Come opera tale concetto? Il diplomatico elvetico spiega che nel caso appena richiamato il popolo migrante non potrà avvalersi e tantomeno appellarsi al “diritto di necessità” allo scopo di trovare accoglienza. Tuttavia -precisa il diplomatico- pare doveroso, da un punto di vista morale ancor prima che giuridico, che questi migranti possano ottenere asilo. Ne consegue che essi potranno con giustizia stanziarsi e stabilirsi nel primo paese dove troveranno abbastanza terre senza che ciò implichi una privazione per gli abitanti stessi.

Cosa comporta allora il citato “stato di necessità”? Nel caso prospettato (paese con risorse sufficienti) la condizione di necessità conferisce ai migranti richiedenti asilo29 il solo diritto di abitazione. Con una ulteriore e fondamentale implicazione sopra già menzionata: nel momento in cui vengono accolti essi dovranno sottomettersi a tutte le condizioni, purché tollerabili, che loro saranno imposte dal Sovrano di quel paese, come ad esempio pagare un tributo, diventare suoi sudditi o “almeno vivere sotto la sua protezione e dipendere da lui per certi conti”.

Risulta particolarmente interessante notare come questi tre diritti/doveri (pagamento tributo, divenire suddito e subordinazione al Sovrano), intesi quali condizioni imposte al migrante al fine di poter essere accolto, siano espressamente definiti dal giurista elvetico come un “residuo della comunione primitiva”.

Questo primitivo stato di comunione non cessa (e probabilmente non ha mai cessato) di essere un elemento di base nella determinazione di diritti e doveri del cittadino all’interno dello Stato politico. Ed è in tale prospettiva che devono essere analizzate e valutate le argomentazioni di Vattel circa lo jus migrandi anche con riferimento alle dinamiche interne alla singola Nazione.

Dunque innanzi ad un popolo migrante in fuga che chiede accoglienza, l’autorità politica (il Sovrano) del paese verso cui quel popolo si rivolge dovrà scegliere tra due opzioni, entrambe giuridicamente legittime.

Da una parte, avrà diritto di rifiutare e negare l’asilo e lo stanziamento sul proprio territorio, qualora ritenga l’accoglienza troppo rischiosa e fonte di pericolo; dall’altra, avrà il diritto di adottare, nell’atto in cui riceve quel popolo, tutte le precauzioni che riterrà opportune alla stabilità ed alla salute dello Stato.

Al riguardo Vattel cita come una delle misure più sicure ed opportune quella di impedire che gli stranieri accolti abitino in una medesima zona del paese e questo allo scopo di evitare che essi si stanzino sul territorio sotto forma di popolo.

È un punto molto delicato sul quale il diplomatico elvetico insiste sottolineando con forza a più riprese come un gruppo accolto non possa in alcun modo pretendere o rivendicare il diritto a stabilirsi nel territorio altrui assumendo di per sé la forma di corpo di Nazione.

Ne consegue che il Sovrano che riceve migranti può di diritto disperderli e distribuirli tra le città e le provincie che sono più carenti di abitanti. Tale condotta, improntata ed orientata sia alla difesa e stabilità politico- sociale dello Stato sia alla accoglienza dello straniero, avrà - secondo Vattel - un duplice vantaggio nei confronti del Sovrano stesso: da un lato, incremento e rafforzamento della sua potenza, dall’altro, maggiore benessere dello Stato in termini di sicurezza.

5. CENNI CONCLUSIVI

Nel contesto del riassetto internazionale improntato ad una delicata quanto instabile politica dell’equilibrio conseguente ai trattati di pace di Westfalia, incentrati sul principio di non intervento e di non ingerenza negli affari dei singoli Stati, Vattel

- nella sua duplice veste di giurista e di diplomatico - fornisce una lettura giuridica del fenomeno migratorio che congiunge diritto naturale e diritto delle genti, ponendo alla base di tale riflessione il concetto di contratto sociale quale elemento di unione e di vincolo tra il cittadino, il sovrano e la società.

In una laboriosa ed articolata dinamica connotata da tensioni opposte e spesso confliggenti, Vattel rapporta il tema della migrazione ai concetti di cittadinanza, sovranità e libertà mostrando una notevole capacità di sintesi e di analisi prospettica.

Sullo sfondo di una graduale metamorfosi concettuale tra ius peregrinandi (su cui presta tanta attenzione ad esempio la seconda scolastica spagnola) e ius migrandi, la simbiosi osmotica tra diritto delle genti e diritto naturale si rapporta ai due estremi entro cui oscilla la sua riflessione: da una parte, il diritto ad abbandonare il proprio paese, dall’altra, il diritto ad abitare in “qualche luogo” e, di riflesso, il diritto ad essere accolti, il diritto d’asilo.

Vattel coglie con chiarezza il carattere bifacciale del diritto a migrare, sul quale poggiano le paradossali contraddizioni delle moderne democrazie30. Non solo dunque il diritto ad uscire e ad allontanarsi ma anche il diritto ad avere accoglienza, rifugio e riparo.

Lo studio dell’opera vatteliana permette di far emergere la estrema complessità del fenomeno migratorio e la delicatezza delle questioni ad esso sottese: obbligo morale, vincolo giuridico, scelte politico- legislative. Aspetti ed assetti differenti che accompagnato - spesso in maniera drammatica - il tortuoso e travagliato cammino del migrante sino ad oggi.

Leggendo Vattel e richiamandone in tema di diritto di asilo la fine distinzione concettuale tra perfezione teorica ed imperfezione pratica, pare affiorare la consapevolezza di una quasi inevitabile mancanza di simmetria e di corrispondenza biunivoca tra il diritto di lasciare il proprio paese e quello di essere accolto in un altro: aspetto articolato e delicato che oscilla storicamente tra retaggio e metamorfosi.

Una discrasia sulla quale rischia di cedere il precario equilibrio internazionale dell’età contemporanea.

Notes

1 Per una approfondita ricostruzione storica ed indagine metodologica circa il fenomeno migratorio si vedano i recenti lavori di LIVI BACCI, M., In cammino. Breve storia delle migrazioni, Bologna 2014 e di COLUCCI, M., SANFILIPPO, M., Le migrazioni: un’introduzione storica, Roma 2009. Per una visuale globale si ponga particolare attenzione a FISHER, M. H., Migration: A world History, Oxford 2014. Si vedano inoltre a CORTI, P., Storia delle migrazioni internazionali, Roma-Bari 2010 e, in un interessante parallelismo cronologico tra passato e presente, GOZZINI, G., Le migrazioni di ieri e di oggi: una storia comparata, Milano 2005. Con riferimento al quadro europeo, in una prospettiva storica in grado di congiungere e far convergere diverse visuali di studio, si colloca il recente volume curato da FAURI, F., The History of Migration in Europe. Perspective from economics, politics and sociology, London-New York 2015; si vedano inoltre BADE, K. J., L’Europa in movimento: le migrazioni dal Settecento a oggi, Roma [etc.] 2001, SASSEN, S., Migranti, coloni, rifugiati: dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Milano 1999 e MOCH, L. P., Moving europeans: migration in Western Europe since 1650, Bloomington, Indianapolis 1992. Risalente ma ancora oggi basilare, il volume curato da DE ROSA, L., GLAZIER, I. A., Migration across time and nations: population mobility in historical contexts, New York-London 1986.
2 Sulla figura del bando all’interno del sistema di jus commune si veda lo studio di ASCHERI, M., «Il bando tra crimine e criminalità», in Diritto medievale e moderno. Problemi del processo della cultura e delle fonti giuridiche, ed. ASCHERI, M., Rimini 1991, pp. 319-323. Lungo la stessa linea di ricerca si pongono i più risalenti studi di CAVALCA, D., Il bando nella prassi e nella dottrina giuridica medievale, Milano 1978 e GHISALBERTI, C., «La condanna al bando nel diritto comunale», in Archivio Giuridico 158 (1960), pp. 3-74. Con riferimento al complesso contesto politico-istituzionale italiano tra età medievale e moderna si veda -anche con riguardo all’ampia bibliografia ivi richiamata- il denso saggio di CASSI, A. A., «Il “segno di Caino” e i “figliuoli di Bruto”. I banditi nella (dalla) civitas dell’Italia comunale e signorile tra prassi statutaria e scientia juris», in Ai margini della civitas. Figure giuridiche dell’altro tra medioevo e futuro, ed. CASSI, A. A., Soveria Mannelli 2011, pp. 79-104. Nella medesima prospettiva si ponga attenzione a MILANI, G., «Banditi, malesardi e ribelli. L'evoluzione del nemico pubblico nell'Italia comunale (secoli XII-XIV)», in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 38 (2009), pp. 109-140. Per un’ampia e generale visione circa l’istituto del bando si consulti inoltre lo studio di ZAREMSKA, H., Le bannis au Moyen Âge, Parigi 1996.
3 Per delineare la storia del concetto di esilio si richiama CRIFÒ, G., «Esilio (Storia)», in Enciclopedia del diritto 15 (1966), pp. 712- 722; dello stesso Autore si segnala il denso scritto «Esilio e cittadinanza», in Estudios jurídicos en homenaje al profesor Alejandro Guzmán Brito, ed. CARVAJAL, P. I., MIGLIETTA, M., Alessandria 2011, vol. II, pp. 127-136. Estremamente ricco di spunti d’indagine il volume che raccoglie gli atti del 40° congresso (Nizza 4-7 giugno 2009) della SOCIÉTÉ DES HISTORIENS MÉDIÉVISTES DE L’ENSEIGNEMENT SUPÉRIEUR PUBLIC, Des sociétés en mouvement: migrations et mobilité au moyen âge, Parigi 2010. Di notevole rilevanza, anche in ragione dell’attenta analisi storico-semantica condotta sul tema in esame, si rivela, benché ormai risalente, la monografia di TABORI, P., The anatomy of Exile: a semantic and historical study, London 1972. Con specifico riguardo al delicato rapporto tra politica ed esilio nonché alla configurazione dell’esilio politico si vedano il volume di DI GIANNATALE, F., Escludere per governare. L’esilio politico fra Medioevo e Risorgimento, Firenze 2011, ed il denso studio di SANFILIPPO, M., «Gli esuli di antico regime», in Storia d’Italia, Annali, n. 24, Migrazioni, ed. CORTI, P., SANFILIPPO, M., Torino 2009, pp. 143-160. Importanti spunti sono forniti anche da AGAMBEN, G., «Politica dell’esilio», in Derive approdi, vol. VII, n. 16, 1998, pp. 25-27. Lungo questa prospettiva, ma con riguardo al contesto storico italiano tra età medievale e moderna si segnala il testo curato da HEERS, J., BEC, C., Exil et civilisation en Italie (XIIe- XVIe siècles), Nancy 1990 da porre comunque in parallelo, da un lato, con lo studio di HEERS, J., L’esilio, la vita politica, la società nel Medioevo, Napoli 1997 e, dall’altro, con la ricerca di STARN, R., Contrary Commonwealth. The theme of exile in Medieval and Renaissance Italy, Barkeley-Los Angeles-London 1982.
4 Circa la figura ed il ruolo di Vattel nel quadro del diritto internazionale tra età moderna e contemporanea si veda KOLB, R., Réflexions de philosophie du droit international. Problèmes fondamentaux du droit international public: Théorie et philosophie du droit international, Bruxelles 2003. Circa il sistema internazionale elaborato ed argomentato dal diplomatico elvetico si veda TRAMPUS, A., «Dalla libertà religiosa allo Stato nazione: Utrecht e le origini del sistema internazionale di Emer de Vattel», in I trattati di Utrecht: una pace di dimensione europea, ed. IEVA, F., Roma 2016, pp. 93-106. Circa la posizione assunta dal trattato in esame nel panorama europeo del Settecento si rimanda all’approfondito studio di STAPELBROEK K., TRAMPUS A., «Vattels Droit des gens und die europäeischen Handelsrepubliken im 18. Jahrhundert», in Der moderne Staat und ‘le doux commerce’. Politik, Ökonomie und internationale Beziehungen im politischen Denken der Aufklärung, ed. ASBACH, O., Baden-Baden 2014, pp. 181-206.
5 Ampio e particolareggiato quadro relativo all’impatto dell’opera vatteliana sulla cultura giuridica di età contemporanea è fornito da FIOCCHI MALASPINA, E., L’eterno ritorno del Droit des gens di Emer de Vattel (secc. XVIII- XIX). L’impatto sulla cultura giuridica in prospettiva globale, Frankfurt am Main 2017. All’interno di questo solco d’indagine si legga il denso contributo della stessa Autrice, «“Le droit des gens” di Emer de Vattel. La genesi di un successo editoriale secolare», in Nuova rivista storica XCVIII (2014), pp. 733-754.
6 Il trattato di Vattel diviene in breve tempo l’oggetto di un complesso ed articolato processo di ricezione all’interno del quadro giuridico di molti Stati Europei ed extraeuropei in concomitanza con il progressivo susseguirsi di opere di traduzione. La viva esperienza e la profonda competenza dell’Autore conferiscono all’intera opera un carattere sistematico non meramente didascalico in cui i precetti sono rafforzati dal costante richiamo ad esempi concreti tratti dalla storia e dalla realtà politica coeva. Circa la nascita del trattato di Vattel si veda lo studio di BANDELIER, A., «De Berlin à Neuchâtel: La genèse du Droit des Gens d’Emer de Vattel», in Schweizer im Berlin des 18. Jahrhunderts, ed. FONTIUS, M., HOLZHEY, H., Berlin 1996, pp. 45-56. Con riferimento all’impatto ed all’influenza esercitata dal trattato si consulti SANDOZ, Y., Réflexions sur l’impact, le rayonnement et l’actualitè de: “Le Droit des Gens, ou Principes de la loi naturelle appliqués à la conduit et aux affaires des Nations et des Souverains”. A l’occasion du 250° anniversaire da sa puration, Bruxelles 2010. In tale prospettiva e con lo scopo di delineare anche il retroterra culturale si veda RUDDY, F. S., International law in the Enlightenment: the background of Emmerich de Vattel’s, Dobbs Ferry, N.Y. 1975. Per quanto attiene il delicato processo di (ri)lettura, ricezione e circolazione del trattato vatteliano nel contesto europeo (e non solo) tra età moderna e contemporanea si veda lo studio TRAMPUS, A., «Vattel dopo Vattel: il problema dei piccoli Stati nelle letture e ricezioni tra Settecento e Ottocento», in Rivista Storica Italiana 129 (2017), n. 2, pp. 575- 602; di notevole interesse anche il saggio di STAPELBROEK, K., «Dal sistema di Utrecht (1713) al sistema di Vattel (1758) attraverso l’Observateur Hollandois e “quelques arpents de neige” in America», in Rivista Storica Italiana 129 (2017), n. 2, pp. 495- 535; con specifico riferimento alla Francia si veda ALIMENTO, A., «Tra strategie editoriali e progettualità riformista: la circolazione in Francia de Le droit des gens di Emer de Vattel», in Rivista Storica Italiana 129 (2017), n. 2, pp. 536-574.
7 Per un ampio quadro circa il pensiero politico-giuridico di Vattel cf. MANCUSO, F., Diritto, stato, sovranità: il pensiero politico-giuridico di Emer De Vattel tra assolutismo e rivoluzione, Napoli 2002; dello stesso Autore con riferimento al ruolo svolto del trattato vatteliano nel quadro della cultura giusinternazionalista europea si segnalano «Effettività e legittimità nel Droit des Gens di Vattel», in Dimensioni dell’effettività. Tra teoria generale e politica del diritto. Atti del convegno, Salerno, 2- 4 ottobre 2003, ed. CATANIA, A., Milano 2005, pp. 415-426; «Le Droit des Gens come apice dello jus pubblicum europeum? Nemico, guerra, legittimità nel pensiero di Emer de Vattel», in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 38 (2009), pp. 1277-1310. Per poter inquadrare e focalizzare con nitidezza la figura di Vattel nel contesto della dottrina giusinternazionalista moderna si rinvia a JOUANNET, E., Emer de Vattel et l’émergence doctrinale du droit international classique, Parigi 1998 da porre in relazione al saggio di HURRELL, A., «Vattel: Pluralism and its limits», in Classical theories of international relations, ed. CLARK, I., NEUMANN, I. B., Houndmills-New York 1996, pp. 233- 255. Circa il concetto di sovranità nella riflessione di Vattel si veda ARBUET-VIGNALI, H., «La idea de soberanía en Vattel», in Revista de la Facultad de Derecho 18 (2000), pp. 165-198; più risalente ma basilare MUIR WATT, H., «Droit naturel et souveraineté de l’Etat dans la doctrine de Vattel», in Archives de philosophie du Droit 32 (1987), pp. 71-85. In merito al dibattuto e controverso tema della nascita del diritto internazionale moderno e con riguardo al ruolo in tale contesto assunto dal giurista elvetico si rimanda a OSÓRIO DE CASTRO, Z., «Emer de Vattel: Pluralismo e identidade na génese do direito internacional moderno», in Themis: Revista de direito, a. 3, V (2002), pp. 101-112. Per un quadro generale della figura di Vattel si veda, risalente ma ancora oggi fondamentale, lo studio di MANZ, J. J., Emer de Vattel, Versuch einer Würdigung, Zürich 1971.
8 Utile sotto questo aspetto il volume curato da CASSI A. A., SCIUMÉ A., Dalla civitas maxima al totus orbis: diritto comune europeo e ordo iuris globale tra età moderna e contemporanea, Soveria Mannelli 2007.
9 Per una visuale d’insieme della dottrina giusinternazionalista di età moderna si consulti CASSI, A. A., «Lo ius in bello nella dottrina giusinternazionalista moderna. Annotazioni di metodo e itinerari d'indagine», in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 38 (2009), pp. 1141- 1168; ID., «Dalla santità alla criminalità della guerra. morfologie storico- giuridiche del bellum iustum», in Seminari di Storia e di Diritto. III. «Guerra giusta»? Le metamorfosi di un concetto antico, ed. CALORE, A., Milano 2003, pp. 101-158 in cui si afferma che in tema di guerra giusta “l’unico requisito richiesto dallo jus gentium alla guerra sia il carattere di «guerre en forme», condotta tra Stati territoriali sovrani che si riconoscono uguali tra loro”, p. 150. Circa la teoria dell’equilibrio e del bilanciamento dei poteri nella riflessione di Vattel si rimanda a VAGTS, A., VAGTS, D. F., «The Balance of Power in International Law: A History of an Idea», in The American Journal of International Law 73/74 (1979), pp. 555-580; in parallelo a NAKHIMOVSKY, I., «Vattel’s theory of the international order: commerce and the balance of power in the Law of Nations», in History of European Ideas 33 (2007), pp. 157-173.
10 Per una attenta disamina circa le articolate dinamiche dello Stato sovrano quale soggetto di diritto internazionale si veda HAGGENMACHER, P., «L’État souverain comme sujet du droit international, de Vitoria à Vattel», in Droits: revue franҫaise de théorie juridique 16 (1992), pp. 11-20. In correlazione a WHELAN, F., «Vattel’s Doctrine of the State», in History of Political Thought 9 (1988), pp. 59-90.
11 PADOA SCHIOPPA, A., Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, Bologna 2016, p. 373.
12 Cf. ZURBUCHEN, S., «Vattel’s law of nations and just war theory», in History of European Ideas 35 (2009), pp. 408-417; ID., «Die schweizerische Debatte über die Leibniz-Wolffsche Philosophie und ihre Bedeutung für Emer von Vattels philosophischen Werdegang», in Reconceptualizing Nature, Science, and Aesthetics. Contribution à une nouvelle approche des Lumières helvétiques, ed. COLEMAN, P., coll. Travaux sur la Suisse des Lumières 1 (1998), pp. 91-113.
13 Vattel ammette che alle Nazioni “si applichino le norme di diritto naturale […]. Ma si affretta ad aggiungere che esse sono soggetti ben diversi dai singoli uomini e, quindi, non solo le stesse regole non sono applicabili a tutti gli Stati, ma eventuali comportamenti «illegittimi e condannabili», per non violare il principio naturale dell’indipendenza delle Nazioni, possono essere puniti esclusivamente quando urtino contro i «droits parfaits» degli Stati. Il diritto delle genti necessario, dunque, obbliga tutte le Nazioni, ma solo «dans la conscience», poiché rimane privo di sanzione. Gli Stati devono guardare ad esso come ad un orizzonte etico, ma, per conoscere quali siano gli obblighi reciproci, devono attenersi al diritto delle genti positivo, che discende dalla volontà presunta, espressa o tacita, delle Nazioni, quale risulta dai trattati o dalle consuetudini internazionali”, MARTINO, F., «Droit des gens, droit publique des nations e diritto nazionale in un processo della restaurazione», in Studi in memoria di Elio Fanara, vol. II, Milano 2008, p. 580.
14 Risulta interessante e al contempo davvero determinante il contesto ed il quadro di relazioni internazionali in cui il diplomatico elvetico svolge le proprie riflessioni relativamente al tema migratorio e in particolare al diritto di abbandonare il proprio territorio. Emergono due aspetti: da un lato, il quadro della guerra dei sette anni e delle varie cessioni territoriali che mettono in discussione il tema della appartenenza ad una “patria”; dall’altro, lo specifico contesto di Neuchâtel, patria di Vattel, passata nel 1707 dagli Orléans agli Hohenzollern. Per un opportuno approfondimento si rinvia a TOYODA, T., Theory and Politics of the Law of Nations: Political bias in International Law discourse of seven German court councilors in the seventeenth and eighteenth centuries, Leiden- Boston 2011.
15 Per una ricostruzione in prospettiva storico- filosofica dello jus migrandi si veda il denso saggio di ITZCOVICH, G., «Migrazioni e sovranità. Alcune osservazioni su concetto, fonti e storia del diritto di migrare», in Ragion Pratica 41 (2013), pp. 433-450.
16 Fondamentale nel tratteggiare da diverse prospettive le dinamiche di inclusione/ esclusione sociale nel quadro della cultura giuridica tra età medievale ed età contemporanea appare il volume CASSI, A. A., Ai margini della civitas. Figure giuridiche dell’altro tra medioevo e futuro, Soveria Mannelli 2011.
17 Per approfondire la concezione di diritto naturale nella riflessione vatteliana in correlazione alla delicata questione della guerra si legga RODRIGUEZ GOMEZ, E., «El jusnaturalismo y la guerra en el pensamiento de Jean-Jacques Burlamaqui y Emer de Vattel en el siglo XVIII», in Revista telemática de filosofía del derecho 11 (2007-2008), pp. 41-56. Ulteriori e stimolanti spunti di ricerca in tale prospettiva sono offerti da SILVESTRINI, G., «Giustizia della guerra e disuguaglianza: Vattel, l’aggressore ingiusto e il nemico del genere umano», in Filosofia politica 22 (2008), n. 3, dic. 2008, pp. 381-401 (della stessa Autrice si veda anche «Diritti naturali e diritto di uccidere. Teorie moderne della guerra fra modelli teorici e tradizioni di pensiero», in Filosofia politica 21 (2007), n. 3, pp. 425- 452). Si veda inoltre il recente studio di RECH, W., Enemies of Mankind. Vattel’s Theory of Collective Security, Leiden-Boston 2013.
18 Per il presente studio è stata utilizzata la seguente traduzione italiana del trattato vatteliano: Il Diritto delle genti, ovvero principii della legge naturale, applicati alla condotta e agli affari delle Nazioni e de’sovrani: opera scritta nell’idioma francese dal sig. di Vattel e recata nell’italiano da Lodovico Antonio Loschi, in Lione, 1781 (d’ora innanzi Il Diritto delle Genti). In merito alla traduzione ed alle edizioni italiane del testo di Vattel si rimanda a TRAMPUS, A., «Il ruolo del traduttore nel tardo illuminismo: Lodovico Antonio Loschi e la versione italiana del Droit des gens di Emer de Vattel», in Il linguaggio del tardo illuminismo. Politica, diritto e società civile, ed. TRAMPUS, A., Roma 2011, pp. 81-108. Sulla diffusione e circolazione dell’opera vatteliana nell’Italia del secolo XVIII si veda TRAMPUS, A., «The circulation of Vattel’s Droit des gens in Italy: the doctrinal and practical model of government», in War, Trade and Neutrality. Europe and the Mediterranean in seventeenth and eighteenth centuries, ed. ALIMENTO, A., Milano 2011, pp. 217-232. Si segnalano inoltre le puntuali osservazioni di TRAMPUS, A., «La traduzione toscana del Droit des gens di Emer de Vattel (circa 1780): contesti politici, transferts culturali e scelte traduttive», in Traduzione e Transferts nel XVIII secolo tra Francia, Italia e Germania, ed. CANTARUTTI, G., FERRARI, S., Milano 2013, pp. 153-174.
19 Il trattato vatteliano si articola e si sviluppa in quattro libri, suddivisi in capitoli e paragrafi. Vattel affronta il tema migratorio (nella duplice configurazione di diritto ad abbandonare il proprio paese e diritto di abitare “in qualche luogo sulla terra”) all’interno del capitolo XIX (“Della Patria e delle varie materie, che vi hanno relazione”) del Libro I ai paragrafi da 220 a 233 e nel capitolo IX (“Dei diritti, che restano a tutte le Nazioni dopo la introduzione del dominio e della proprietà”) del Libro II in particolare al paragrafo 125.
20 In una prospettiva internazionalista si veda REMEC, P. P., The Position of the Individual in International law: according to Grotius and Vattel, The Hague 1960.
21 Questo aspetto costituisce secondo Vattel “il fondamento de’ Trattati foranei, dei Diritti che si chiamano in Latino census emigrationis”, cf. DE VATTEL, E., Il Diritto delle Genti, I, XIX, § 220.
22 Vattel definisce gli emigranti come coloro che abbandonano il proprio paese in forza di “qualche ragione legittima” con l’intenzione di stabilirsi altrove (Ivi, § 224). Vengono quindi individuate le fonti da cui si origina il loro diritto ad abbandonare il paese: in primo luogo, il diritto naturale (in relazione all’ipotesi di violazione del patto di società da parte del Sovrano); in secondo luogo, la “legge fondamentale dello Stato”; in terzo luogo, la concessione volontaria del Sovrano; infine, la sussistenza di un trattato internazionale con una potenza straniera in virtù del quale un Sovrano promette di lasciare ogni libertà a quei sudditi che, per una data ragione (ad esempio la Religione), decidano di migrare e trasferirsi nel territorio di quella Potenza estera. Sotto quest’ultimo profilo l’Autore cita a titolo di esempio i “Trattati fra i Principi di Germania” e spiega inoltre come “negli Svizzeri un Cittadino di Berna, che vuol trasferirsi a Friburgo, e reciprocamente un Cittadino di Friburgo, che vuole stabilirsi a Berna, per ivi professar la Religione del paese, ha Diritto di abbandonare la sua patria e di portar seco tutto ciò che gli appartiene”, DE VATTEL, E., Il Diritto delle Genti, I, XIX, § 225. Pare opportuno un breve, ma importante, richiamo circa il ruolo delle “leggi fondamentali” sopra richiamate. Nella dottrina dello Stato elaborata dal giurista elvetico le “leggi fondamentali” costituiscono le basi portanti della “Costituzione dello Stato”. Questo determina importanti conseguenze sul piano della disciplina del diritto di resistenza. Infatti quando la condotta del sovrano oltrepassa i limiti inviolabili stabiliti dalle loix fondamentales, il Principe “comanda senza alcun diritto”, governa sine titulo: “la Nazione non è obbligata ad ubbidirgli, e può resistere alle sue ingiuste intraprese”. Dal momento in cui “attacca la Costituzione dello Stato, il Principe rompe il contratto, che legava il Popolo a lui: il Popolo diventa libero pel fatto del Sovrano, e non vede più in lui che un usurpatore, che vorrebbe opprimerlo”. Si tratta di un passaggio cruciale che ruota intorno a due binomi concettuali, pilastri della speculazione vatteliana: Costituzione/ Nazione e leggi fondamentali/ leggi politiche. Nella riflessione di Vattel la “Costituzione” è formata dall’unione di “leggi politiche” e “leggi fondamentali”: le prime “fatte direttamente in vista del bene pubblico”, le seconde concernenti “il corpo stesso e l’essenza della società”, DE VATTEL, E., Il Diritto Delle Genti, I, III, § 29.
23 Per esule - spiega Vattel - deve intendersi un “uomo scacciato dal luogo del suo domicilio, ovvero costretto ad uscirne, ma senza nota d’infamia”. Si individuano pertanto due distinte ipotesi (da un lato, l’essere cacciato ed allontanato; dall’altro, l’essere costretto e forzato) accomunate da uno specifico elemento in negativo: l’assenza della “nota di infamia”. In relazione pertanto alla causa che lo determina l’esilio potrà dividersi in volontario ed involontario. Si tratta di esilio volontario, nell’ipotesi in cui un uomo abbandoni la patria per sottrarsi ad una pena, o per evitare o sfuggire qualche calamità; si parla invece di esilio involontario, quando l’esilio si configura come “l’effetto di un ordine superiore”. DE VATTEL, E., Il Diritto delle Genti, I, XIX, § 228. Per un mirato approfondimento circa significato e disciplina, contorni e contenuti dell’esilio nella riflessione di Vattel richiamo il recente studio di CARRERA, A., «Il diritto del cittadino di abbandonare la patria. Il concetto di esilio ne Le droit des gens di Emer de Vattel», in Viaggiatori. Circolazioni, scambi ed esilio, 1 (09/2017), n. 1, D’ANGELO, F. (ed.), L’esilio come viaggio: categorie, pratiche ed esperienze dall’Antico all’età contemporanea, pp. 38- 75.
24 I banditi vengono definiti negli stessi termini degli esiliati, ma con una precisa e specifica differenza. I banditi sono infatti accompagnati da una nota di infamia di cui sono invece privi gli esiliati, DE VATTEL, E., Il Diritto delle Genti, I, XIX, § 228.
25 Parallelamente ai migranti, Vattel definisce i supplichevoli come “tutti i fuggitivi, che implorano la protezione di un Sovrano contro la Nazione, ovvero il Principe, che hanno eglino abbandonato”, ivi, § 227.
26 Ivi, § 223.
27 Sul punto si rinvia allo studio di CARRERA, A., «Il diritto di resistenza nella dottrina giuridica di Emer de Vattel», in Il diritto come forza, la forza del diritto. Le fonti in azione nel diritto europeo tra Medioevo ed età contemporanea, ed. SCIUMÈ, A., Torino 2012, pp. 81-109.
28 Cf. DE VATTEL, E., Il Diritto delle Genti, Libro II, Capitolo IX, § 125.
29 Per ricostruire le dinamiche storiche del diritto di asilo si veda VISMARA, G., «Asilo (diritto di) (Diritto intermedio)», in Enciclopedia del diritto, vol. III (1958), pp. 198- 202 (ora in ID., Scritti di storia giuridica, vol. VIII, Milano 1996, pp. 67- 79). Con specifico riferimento alla età moderna si veda la recente e documentata monografia di LATINI, C., Il privilegio dell’immunità: diritto d’asilo e giurisdizione nell’ordine giuridico dell’età moderna, Milano 2002. Utili per una visuale d’insieme circa la storia giuridica dell’istituto in questione lo studio di MASTROMARTINO, F., Il diritto di asilo: teoria e storia di un istituto giuridico controverso, Torino 2012; con riguardo alla storia antica e premoderna MASTROMARTINO, F., «L’asilo nella società e nella cultura greco- antica», in L’Acropoli 10 (2009), pp. 173- 184; ID., «Percorsi dell’asilo cristiano. Origine, affermazione e crisi di un istituto giuridico controverso», in L’Acropoli 11 (2010), pp. 593-612. Per tratteggiare la riflessione di Emer de Vattel circa il concetto di asilo risulta ancora fondamentale, benché risalente, la monografia di GARCIA-MORA, M. R., International law and asylum as a human right, Washington 1956 da porre comunque in parallelo allo studio di GRAHL-MADSEN, A., The status of refugees in internatonal law, vol II, Leiden 1972 (con particolare attenzione alle pp. 14 e ss.). Denso di spunti d’analisi anche in chiave storica, il recente testo di ORCHARD, P., A right to flee. Refugees, States and the Construction of International Cooperation, Cambridge 2014.
30 Numerosi e davvero stimolanti le osservazioni ed argomentazioni poste dalle recenti pubblicazioni di DE WENDEN, C. W., «Frontières, nationalisme et identité politique», in Pouvoirs: Revue française d’ètudes constitutionnelles et politiques 165 (2018), pp. 39-49, Sulle onde delle migrazioni: dalla paura all’incontro, Milano 2017 e Il diritto di migrare, Roma 2015.

Alternative link



Buscar:
Ir a la Página
IR
Scientific article viewer generated from XML JATS4R by