DOSSIÊ: CONDENAÇÕES E ACUSAÇÕES INJUSTAS
Imputazioni ingiuste e rimborso delle spese legali da parte dello Stato: luci ed ombre della nuova disciplina italiana
Unfair charges and reimbursement of legal costs by the State: light and shade of the new Italian law
Imputazioni ingiuste e rimborso delle spese legali da parte dello Stato: luci ed ombre della nuova disciplina italiana
Revista Brasileira de Direito Processual Penal, vol. 8, no. 2, pp. 713-764, 2022
Instituto Brasileiro de Direito Processual Penal
Received: 08 May 2022
Revised document received: 31 May June June July July 2022
Accepted: 06 August 2022
Riassunto: Il contributo esamina l’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020 e il d. interm. 20 dicembre 2021, che introducono per la prima volta nell’ordinamento processuale penale italiano una disciplina generale sul rimborso delle spese legali agli imputati assolti da parte dello Stato. Le previsioni costituiscono un notevole passo avanti, ma presentano gravi e diffuse criticità nel perimetro applicativo, nei termini di presentazione dell’istanza e nei rapporti con altri istituti processuali. Anche la loro collocazione, al di fuori del codice di procedura penale, pare inopportuna. Inoltre, le somme stanziate dallo Stato (otto milioni di euro annui) sono del tutto insufficienti a garantire l’effettività della disciplina, se rapportate al numero di assoluzioni, desumibili dalle statistiche ufficiali. L’Autore delinea proposte di riforma, anche alla luce dei dati ministeriali sul numero e sull’esito dei procedimenti.
Parole chiave: imputazioni ingiuste, spese legali, rimborso, assoluzione, presunzione di innocenza.
Abstract: This essay analyses Article 1(1015) et seq. of Law no. 178/2020 and the related Inter-ministerial Decree of 20th December 2021, that – for the first time within the Italian criminal procedure system – aims at introducing general rules on the reimbursement of legal costs by the State to the acquitted person. The new discipline takes a significant step forward, nevertheless it reveals serious and widespread glitches, e.g. with regard to its extent, the terms for submitting the relevant application and for what concerns the relations with other procedural institutions. Its collocation, outside the Code of Criminal Procedure, also seems inappropriate. Furthermore, the sums allocated by the State (EUR eight million per year) are completely insufficient to guarantee the effectiveness of the aforementioned rules, if compared to the number of acquittals, which can be inferred from official statistics. The Author outlines reform proposals, also in the light of government data concerning the number and the results of proceedings.
Keywords: unfair charges, legal costs, reimbursement, acquittal, presumption of innocence.
Sommario: 1. Introduzione. Imputazioni ingiuste e rimborso statale delle spese legali: dimensioni del problema e quadro normativo; – 2. Una disciplina ritagliata (per ragioni di bilancio) su determinate formule assolutorie: frizioni costituzionali e problemi di opportunità; – 3. Presentazione dell’istanza ed oggetto della rifusione: un perimetro operativo estremamente angusto; – 4. L’elemento soggettivo. I rapporti con gli istituti processuali “limitrofi”; – 5. Termini per presentare la domanda telematica e criteri di priorità; – 6. L’insufficienza degli importi stanziati; – 7. Conclusioni: qualche riflessione de iure condendo alla luce delle statistiche; – Bibliografia.
1. Introduzione. Imputazioni ingiuste e rimborso statale delle spese legali: dimensioni del problema e quadro normativo.
L’ingiustizia dell’imputazione può assumere diverse forme, cui la disciplina processuale ricollega differenti rimedi2, ma l’ipotesi più evidente si verifica senz’altro in caso di assoluzione dell’imputato con formula ampiamente liberatoria.
Le statistiche giudiziarie mostrano come il fenomeno raggiunga in Italia proporzioni di notevole rilievo. Da quanto emerge nella relazione del primo presidente della Corte di cassazione sull’amministrazione della giustizia del 20223, la percentuale di imputati prosciolti all’esito del dibattimento di primo grado nell’anno giudiziario 2020/2021 è pari al 54,8%. Includendo anche le sentenze emanate a seguito di riti speciali, la percentuale scende di poco, attestandosi al 46,2% nel 2020/2021. Benché nelle statistiche debbano ricomprendersi non solo le assoluzioni in senso tecnico, ma anche i proscioglimenti per altra causa (ad esempio le sentenze di non doversi procedere per estinzione del reato conseguente a prescrizione)4, il dato resta comunque ragguardevole5.
La sottoposizione ad un procedimento penale può comportare, per chi lo subisce, non solo penetranti ripercussioni su vari aspetti della vita e un carico, spesso ingente, di sofferenza psicologica6, ma anche un esborso economico, derivante dal pagamento delle spese necessarie a difendersi: compenso professionale dell’avvocato, diritti di cancelleria per estrarre copia di atti e documenti, spese per consulenze tecniche, per prestazioni di investigatori privati autorizzati e per assistenza di interpreti e traduttori fiduciari. Come osservato, il problema delle spese legali è particolarmente sentito qualora il procedimento penale si concluda con il proscioglimento dell’imputato, specialmente se con formula pienamente liberatoria e dopo diversi gradi di giudizio.
Nonostante l’indubbia serietà e le dimensioni del problema, fino a tempi recenti – cioè fino all’emanazione della l. 178/2021, su cui ci si soffermerà nel prosieguo – il principio della soccombenza, secondo cui il giudice pone le spese processuali a carico di chi perde la causa, salvo la possibilità di compensarle in determinate situazioni7, si è affermato in maniera solo frammentaria e incompleta nel processo penale italiano, a differenza del processo civile, nel quale gli artt. 91 ss. c.p.c. dettano una specifica disciplina8.
In particolare, ai sensi dell’art. 4 d.p.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico sulle spese di giustizia), nel processo penale le spese sono anticipate dall’erario, ad eccezione di quelle che riguardano atti richiesti dalle parti private che non beneficiano del patrocinio a spese dello Stato e di quelle relative alla pubblicazione della sentenza ex artt. 694 comma 1 c.p.p. e 76 d.lgs. 231/2001. Tuttavia, mentre l’art. 535 comma 1 c.p.p. prevede che la sentenza di condanna ponga a carico del condannato le spese processuali, il codice non contiene un’analoga disposizione in favore dell’imputato prosciolto. Le uniche norme che vanno in questa direzione sono gli artt. 427 e 542 c.p.p., che fanno gravare sul querelante, in udienza preliminare e in dibattimento, le spese processuali anticipate dallo Stato e quelle dell’imputato e dell’eventuale responsabile civile, oltre al risarcimento del danno. Esse, però, presentano un àmbito operativo circoscritto: la rifusione in favore dell’imputato e del responsabile civile opera solo su loro richiesta, limitatamente alle sentenze di non luogo a procedere o di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso. Occorre inoltre che vi sia un querelante cui imputare le spese: il procedimento deve quindi riguardare una fattispecie perseguibile a querela. Il rimborso, sia in favore dell’erario che dell’imputato e del responsabile civile, è escluso ove il querelante non abbia agito con colpa9.
Una peculiare ipotesi extracodicistica di rifusione delle spese legali è sancita dall’art. 18 d.l. 67/199710, in favore dei dipendenti delle amministrazioni statali giudicati per fatti ed atti connessi all’esercizio dei loro obblighi e mansioni, in caso di sentenza o di provvedimento che ne escluda la responsabilità. La norma risponde però ad una ratio del tutto particolare: vuole tutelare il sereno esercizio delle loro funzioni, evitando che subiscano pregiudizi a causa dei relativi compiti istituzionali11. A parte tale specifica previsione, fino a tempi recenti l’unico modo per accollare allo Stato le spese difensive era l’accesso al patrocinio a spese dello Stato di cui agli artt. 74 ss. d.p.R. 115/200212, subordinato a stringenti requisiti reddituali13.
Con l’art. 8 l. 36/2019, il legislatore ha poi introdotto l’art. 115-bis d.p.R. 115/2002. Si tratta di una disposizione particolare e controversa, che ha suscitato un ampio dibattito: essa pone a carico dello Stato – con liquidazione ai sensi degli artt. 82 ss. d.p.R. 115/2002 – l’onorario e le spese dovuti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico in caso di provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o proscioglimento perché il fatto non costituisce reato, in ragione della scriminante della legittima difesa c.d. “domiciliare” ex art. 52 commi 2 ss. c.p. o dell’eccesso colposo ex art. 55 comma 2 c.p.14.
In merito alle spese processuali concernenti l’azione civile (da intendersi in senso lato come comprensive del compenso professionale del difensore15), fin dall’entrata in vigore del codice di rito, l’art. 541 c.p.p. sancisce l’operatività del principio della soccombenza, cosicché, con la pronuncia che accoglie la domanda sulle restituzioni e sul risarcimento del danno, il giudice penale condanna solidalmente alle spese l’imputato e il responsabile civile16, mentre con la sentenza che assolve l’imputato per motivi diversi dal difetto d’imputabilità o che comunque rigetta la summenzionata domanda, il giudice, previa richiesta, condanna la parte civile a rifondere all’imputato e al responsabile civile le spese sostenute in conseguenza dell’azione civile. In entrambi i casi, è possibile disporne la compensazione totale o parziale per giustificati motivi, purché, secondo la giurisprudenza, siano «gravi ed eccezionali», in analogia con quanto previsto dall’art. 92 c.p.c.17.
Questo quadro normativo gravemente lacunoso, in cui il principio di soccombenza con riguardo alle spese legali operava di regola solo tra i privati e non nei confronti dello Stato, è rimasto immutato per decenni, favorito dall’assenza di sollecitazioni eurounitarie e internazionali18. La giurisprudenza costituzionale, dal canto suo, non ha mai ravvisato un’illegittimità ex artt. 2, 3, 24 o 111 Cost., ritenendo che la particolare posizione del pubblico ministero e l’obbligo di esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost., a fronte del principio della disponibilità dell’azione privata nel processo civile, giustifichino una differenziazione tra quest’ultimo, in cui trova attuazione il principio della soccombenza, e quello penale19. La difesa, inoltre, è garantita a tutti come diritto inviolabile dall’art. 24 Cost., ma la sua gratuità è espressamente sancita solo per i non abbienti, cosicché la ripartizione delle spese nel processo penale rientrerebbe nella discrezionalità legislativa20. Si deve tuttavia rilevare che, sebbene la Corte costituzionale non abbia mai dichiarato un’illegittimità della disciplina codicistica in parte qua ai sensi dell’art. 24 Cost., la consapevolezza di non poter chiedere il rimborso delle spese legali neppure in caso di innocenza rischia di produrre riflessi sulle strategie difensive, inducendo alcuni imputati a compiere scelte più improntate al risparmio economico che al pieno esercizio dei propri diritti e facoltà21. Inoltre, l’assenza di un sistema generalizzato di rimborso delle spese legali agli assolti, facendo gravare una parte rilevante dei costi della giustizia sui privati, ne occulta la reale entità22.
Per queste ragioni, da anni si avvertiva l’esigenza di prevedere, anche nel processo penale, strumenti per il rimborso statale delle spese23. Solo di recente il legislatore italiano ha finalmente – e inaspettatamente24 – introdotto una disciplina extra codicem per il rimborso statale delle spese legali all’assolto, contenuta nei commi 1015-1022 dell’art. 1 l. 30 dicembre 2020, n. 178 (c.d. legge di bilancio 2021), entrati in vigore il 1° gennaio 202125. Il comma 1019 demanda le norme di dettaglio ad un decreto attuativo del ministro della giustizia, da emanare di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze entro sessanta giorni dall’entrata in vigore di tali disposizioni. È stato dunque approvato, seppur con notevole ritardo, il decreto interministeriale 20 dicembre 202126 (di seguito d. interm. 2021).
La rifusione delle spese legali agli assolti non va configurata come un risarcimento del danno, che presuppone un atto illecito, ma come un rimborso conseguente ad attività giudiziaria lecita27: il processo, pur essendosi svolto in modo conforme alla legge, si è rivelato ingiustamente dannoso nei confronti dell’imputato, in ragione del suo esito assolutorio28. In questo modo, entro determinati limiti e a particolari condizioni, la collettività si accolla l’esborso economico derivante dal processo subìto dall’assolto: il rimborso delle spese legali costituisce dunque una declinazione del principio solidaristico ex art. 2 Cost., strettamente connesso alla centralità della dignità umana, nonché all’art. 3 Cost., il quale impone di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che limitano di fatto l’uguaglianza delle persone, e alla presunzione di non colpevolezza/innocenza di cui agli artt. 27 comma 2 Cost. e 6 § 2 CEDU29.
Detta normativa rappresenta un passo avanti30, allineando, perlomeno negli intenti, l’ordinamento italiano a quello di altri Paesi europei che già da tempo prevedono il rimborso statale delle spese ai prosciolti31. Tuttavia, la novella presenta diffuse criticità, sia sotto il profilo del perimetro operativo, ancora troppo circoscritto, sia nella formulazione e nella collocazione sistematica.
Il presente studio analizza la recente disciplina sul rimborso statale delle spese agli assolti, cercando di fornire soluzioni interpretative ai diversi problemi riscontrati e individuandone le potenzialità, i limiti ed i possibili profili di illegittimità costituzionale. Con l’indispensabile ausilio dei dati ministeriali riguardanti il numero e l’esito dei procedimenti, si tenta inoltre di verificare l’adeguatezza degli stanziamenti statali per attuare la novella e si formulano proposte de iure condendo.
2. Una disciplina ritagliata (per ragioni di bilancio) su determinate formule assolutorie: frizioni costituzionali e problemi di opportunità.
Dal punto di vista soggettivo, legittimato a chiedere il rimborso delle spese è esclusivamente l’imputato assolto con sentenza irrevocabile, pronunciata ai sensi dell’art. 129 c.p.p. o dell’art. 530 c.p.p.32, perché il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (art. 1 comma 1015 l. 178/2020). Va considerata ai fini della rifusione anche la sentenza pronunciata a seguito di rito abbreviato: le formule assolutorie ricalcano infatti quelle dibattimentali e la pronuncia è, anche dal punto di vista formale, un’assoluzione anziché un non luogo a procedere, in virtù del rinvio agli artt. 529 ss. c.p.p. contenuto nell’art. 442 comma 1 c.p.p.
L’art. 1 comma 1018 l. 178/2020 sancisce delle cause di esclusione: il rimborso non è riconosciuto quando l’assoluzione riguarda solo alcuni capi d’imputazione, con condanna per altri (lett. a) e quando l’imputato è assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per sopravvenuta depenalizzazione (lett. c). Ultronea pare la lett. b del predetto comma, laddove esclude la rifusione in favore dei prosciolti per amnistia o prescrizione. Come noto, infatti, tali cause di estinzione del reato vengono dichiarate con sentenza di non doversi procedere, che già di per sé non rientra nel perimetro del citato comma 1015. L’art. 2 comma 2 lett. f d. interm. 2021 precisa che la pronuncia dev’essere divenuta irrevocabile nell’anno antecedente a quello in cui si presenta l’istanza.
Deve ritenersi che la formulazione – più estesa rispetto a quella sulla condanna del querelante alle spese ex art. 542 c.p.p., che ricomprende solo le assoluzioni perché il fatto non sussiste e l’imputato non lo ha commesso – riguardi anche le assoluzioni per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ex art. 530 comma 2 c.p.p., trattandosi di ipotesi che il codice ha equiparato in toto a quelle di cui al comma antecedente, in virtù del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio oggi cristallizzato nell’art. 533 comma 1 c.p.p., corollario della presunzione di non colpevolezza nella sua veste di regola di giudizio33.
Tuttavia, il riferimento normativo alla sentenza assolutoria irrevocabile esclude il rimborso delle spese qualora il procedimento si concluda non solo con ordinanza o decreto di archiviazione, ma anche con sentenza di non luogo a procedere, essendo quest’ultima sempre revocabile ex artt. 434 ss. c.p.p.34.
La scelta di non considerare le indagini sembra comunque rientrare nella discrezionalità legislativa, trattandosi di una fase, eventualmente incardinata su impulso del denunciante o del querelante, in cui il pubblico ministero deve ancora verificare la solidità delle accuse35. La situazione non pare assimilabile a quella affrontata dai giudici costituzionali in merito al comma 2-bis dell’art. 2 l. 89/2001 sul risarcimento dei danni per durata irragionevole del processo, norma dichiarata illegittima nella parte in cui, ai fini del computo della durata del processo penale, non considera le indagini preliminari a partire dal momento in cui l’indagato ha legale conoscenza del procedimento a suo carico36. Allo Stato, infatti, non può di per sé rimproverarsi l’iscrizione del procedimento penale nel registro delle notizie di reato, essendo anzi un atto dovuto al fine di verificare se vi siano i presupposti per l’esercizio dell’azione penale. Il discorso è diverso allorché lo Stato, anche in fase investigativa, non riesca a compiere i doverosi accertamenti in tempi ragionevoli. Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha dunque margini più ampi per modulare, anche nel suo perimetro temporale, la fisionomia di una responsabilità da atto lecito dello Stato rispetto ad una da atto illecito. Pure le conseguenze pratiche tra le due situazioni sono diverse. Nell’ipotesi del risarcimento per durata irragionevole del processo, come osserva la Corte costituzionale, l’omessa considerazione della fase investigativa produce potenziali conseguenze sull’an del diritto anche in relazione a procedimenti conclusisi nelle fasi successive: la durata delle indagini può infatti risultare determinante ai fini del superamento dei limiti temporali di cui all’art. 2 l. 89/2001, rispettati i quali non sorge alcun diritto risarcitorio37. L’omessa considerazione delle indagini nella disciplina sul rimborso delle spese, invece, se incide sull’an della rifusione in caso di archiviazione, influisce solo sul quantum delle richieste formulate a seguito di successive sentenze assolutorie38. Ad ogni modo, nell’ambito di una riforma organica sul rimborso delle spese legali agli assolti e compatibilmente con le risorse economiche disponibili, sarebbe opportuno contemplare anche le indagini, alla luce del ruolo svolto in questa fase dal difensore a seguito della l. 397/2000 sulle investigazioni difensive39.
L’esclusione del rimborso in caso di sentenza di non luogo a procedere adottata con le formule liberatorie di cui all’art. 1 comma 1015 l. 178/2020 rischia invece di travalicare i limiti della discrezionalità e di rivelarsi manifestamente irragionevole ex art. 3 Cost. Se il legislatore intende introdurre un discrimine, allora, affinché non risulti del tutto arbitrario, esso va identificato con l’esercizio dell’azione penale, cioè con il momento in cui lo Stato, tramite la pubblica accusa, prende formalmente posizione in merito agli addebiti, formulando l’imputazione: il pubblico ministero ritiene così, ai sensi degli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p., che l’accusa non sia infondata e che gli elementi raccolti nelle indagini siano idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Benché l’art. 1 comma 1015 l. 178/2020 non vi faccia cenno, sono rimborsabili anche le sentenze assolutorie emesse ex art. 530 comma 3 c.p.p. quando il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione40, essendo l’ipotesi comunemente ricompresa nella formula «il fatto non costituisce reato».
Discutibile è la differenziazione, all’interno delle assoluzioni perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato», tra la sopravvenuta depenalizzazione e gli altri casi di non sussumibilità del fatto in una norma incriminatrice41. Questo distinguo si pone in frizione con il principio di eguaglianza processuale e con la presunzione di non colpevolezza. In particolare, i dubbi sorgono accogliendo la tesi che considera la predetta formula assolutoria pregiudiziale rispetto alle altre, cioè un proscioglimento in punto di diritto che rende superfluo ogni altro approfondimento nel merito (e dunque anche un accertamento della responsabilità)42. In tal caso, infatti, non essendo stata accertata la commissione del fatto, si dovrebbe a rigore ritenere, in virtù dell’art. 27 comma 2 Cost., che le spese legali siano state ingiustamente sostenute dall’imputato. La distinzione interna alla formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato” può giustificarsi solo aderendo all’impostazione, non pacifica, secondo cui, al momento dell’emissione della sentenza, il giudice abbia già accertato oltre ogni ragionevole dubbio la commissione del fatto di reato oggetto di depenalizzazione43.
La legge non specifica il momento in cui deve sopravvenire la depenalizzazione. Tuttavia, riferendosi la stessa ai «fatti oggetto di imputazione», si ritiene che, per poter escludere la rifusione delle spese, l’azione penale debba essere già stata esercitata44. La depenalizzazione deve essere «sopravvenuta», sottintendendosi quindi che la legge depenalizzatrice sia entrata in vigore dopo la formulazione dell’imputazione45.
L’assonanza tra l’art. 1 comma 1018 lett. c l. 178/2020 e l’art. 314 comma 5 c.p.p. in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione è evidente, pur potendosi notare delle differenze. È dubbia la possibilità di ricomprendere nell’art. 1 comma 1018 lett. c l. 178/2020 l’abrogazione del reato con contestuale introduzione di un corrispondente illecito civile: la citata lett. c parla infatti di depenalizzazione e non, come fa invece l’art. 314 comma 5 c.p.p., di «abrogazione della norma incriminatrice»46. La legge usa il termine “depenalizzazione” per intendere la trasformazione di un reato in illecito amministrativo e non l’abrogazione della fattispecie penale con inserimento di una civile. A conferma della distinzione concettuale, il legislatore del 2016, al fine di porre rimedio all’ipertrofia del sistema penale, ha approvato lo stesso giorno due decreti legislativi distinti: il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, contenente «disposizioni in materia di depenalizzazione», e il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, avente ad oggetto «disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili», attuativi delle deleghe contenute rispettivamente nei commi 2 e 3 dell’art. 2 l. 67/2014. Tra l’altro, l’art. 1 comma 1018 lett. c l. 178/2020 è una norma che fa eccezione alla regola generale, cosicché, ai sensi dell’art. 14 disp. prel. c.c., non può applicarsi al di là dei casi in essa considerati.
La scelta di non rimborsare le spese legali nell’ipotesi di sentenze di non doversi procedere per prescrizione o amnistia pare costituzionalmente legittima: è pur vero che, al momento della pronuncia, il giudice non ha ancora compiuto un accertamento di responsabilità ma solo una valutazione “in negativo” ex art. 129 c.p.p.; tuttavia, in entrambi i casi, l’imputato ha diritto di rinunciare al beneficio47, potendo così perseguire un’assoluzione con formula ampiamente liberatoria, cui l’ordinamento ricollega anche il rimborso delle spese legali. Qualora non rinunci, l’imputato dev’essere consapevole della scelta legislativa di porre le spese legali a suo carico, così come di tutte le altre conseguenze che l’ordinamento ricollega a tale tipologia di proscioglimento48.
Si può ragionare in modo analogo per quanto riguarda tutte le sentenze di non doversi procedere che presuppongono l’accettazione o comunque una scelta dell’imputato, come l’estinzione del reato per oblazione o per esito positivo della messa alla prova, in cui è lo stesso indagato o imputato ad aver formulato la richiesta di accesso al rito speciale, oppure l’estinzione del reato per remissione di querela, in cui è necessario che l’imputato accetti la remissione ai sensi dell’art. 155 c.p.49.
Quando invece il processo termina con sentenze di proscioglimento non rinunciabili né subordinate ad alcuna opzione da parte dell’imputato, si pongono problemi di compatibilità con gli artt. 3 e 27 comma 2 Cost. Emblematica è la pronuncia conseguente all’estinzione del reato per «morte del reo» (recte dell’imputato) «prima della condanna» ex art. 150 c.p. L’imputato morto prima della conclusione del processo deve presumersi non colpevole: sembrano quindi ingiustificati gli esborsi da lui sostenuti a titolo di spese legali.
L’omessa considerazione della sentenza di non doversi procedere per violazione del ne bis in idem ex art. 649 c.p.p. solleva anch’essa dubbi dal punto di vista dell’eguaglianza processuale: il procedimento è ex se illegittimo, anche qualora nel primo processo l’imputato sia stato condannato50. La sentenza di proscioglimento per difetto ab origine di una condizione di procedibilità crea problemi di legittimità analoghi, cui si possono aggiungere frizioni sotto il profilo della presunzione di non colpevolezza51.
Invece, l’omessa previsione del rimborso in caso di assoluzione perché «il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione» (ipotesi in cui rientra anche la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.) si giustifica per la specifica natura della pronuncia, che accerta il fatto di reato.
Criticabile, benché rientrante nell’alveo della discrezionalità legislativa, pare l’accennata ipotesi di esclusione del rimborso disposta dalla lett. a dell’art. 1 comma 1018 l. 178/2020, che concerne l’assoluzione per alcuni capi d’imputazione e la condanna per altri. La legge non chiarisce se la previsione riguardi anche le assoluzioni e condanne pronunciate in procedimenti connessi o per reati collegati. Sarebbe più in linea col testo legislativo circoscriverne l’àmbito di operatività alla specifica sentenza emessa all’esito di un determinato procedimento: il comma 1015 usa infatti il singolare «sentenza», mentre la citata lett. a del comma 1018 parla solo di capi d’imputazione e non di pronunce diverse. Dal canto suo, l’art. 2 comma 2 lett. b d. interm. 2021 precisa che le imputazioni da considerare sono quelle «attribuite al richiedente nell’atto con il quale è stata esercitata l’azione penale, oppure a seguito di modifica dell’imputazione nel corso del processo o in conseguenza della riunione dei procedimenti». Tale norma, se per certi aspetti conferma in parte la predetta lettura, reca con sé un inconveniente, rimettendo la rimborsabilità delle spese legali ad eventi, quali la riunione o la separazione dei processi ex artt. 17-18 c.p.p., che dipendono talvolta da vicende casuali o comunque da valutazioni giudiziali dotate di ampia discrezionalità52. Di conseguenza, in caso di separazione dei processi successiva all’esercizio dell’azione penale, occorre considerare tutti i capi d’imputazione del procedimento originario, nonché le eventuali modifiche a seguito di nuove contestazioni per fatto diverso o per circostanza aggravante. Tuttavia, se i procedimenti connessi o collegati non vengono riuniti, le sentenze scaturenti dai diversi giudizi dovrebbero mantenere la loro autonomia. Alcuni problemi possono sorgere in merito alle contestazioni dibattimentali relative a un fatto nuovo che si aggiunga all’originaria imputazione, per il quale l’imputato acconsenta a proseguire nel medesimo processo53, o a un reato concorrente ex art. 12 comma 1 lett. b c.p.p. che non sia di competenza di un giudice superiore. Il decreto interministeriale impiega l’espressione «modifica dell’imputazione», che, se intesa alla lettera, si riferisce soltanto ai reati diversi ex art. 516 c.p.p. (rubricato, appunto, «modifica della imputazione»). Non pare tuttavia che il decreto in esame utilizzi una terminologia rigorosa: ne è conferma l’uso della parola «imputazioni» in luogo di «capi d’imputazione», che compare invece nell’art. 1 comma 1018 lett. a l. 178/2020. Dunque, anche in questi casi, qualora si proceda ritualmente a una nuova contestazione, la condanna per i relativi capi d’imputazione esclude il rimborso delle spese nonostante l’eventuale assoluzione per altri capi.
Sotto un diverso profilo, sembra che la lett. a dell’art. 1 comma 1018 l. 178/2020 non neghi la rifusione delle spese in caso di proscioglimento con formule differenti, alcune ricomprese tra quelle dell’art. 1 comma 1015 l. 178/2020 ed altre no (si pensi ad una sentenza che assolve l’imputato perché «il fatto non sussiste» in relazione ad un primo reato e per particolare tenuità del fatto in relazione ad un secondo). Né, per giungere a una diversa conclusione, parrebbe sufficiente la definizione di «imputato assolto» fornita dall’art. 1 comma 2 lett. e d. interm. 2021, che, in generale, include chi abbia ottenuto l’assoluzione, «per tutti i capi di imputazione a lui contestati», con una delle formule terminative indicate nell’art. 1 comma 1015 l. 178/2020. Ragioni sistematiche fanno propendere per la rimborsabilità: la l. 178/2020, come osservato, non contiene il predetto divieto di rifusione e l’art. 2 comma 2 lett. b d. interm. 2021 esclude il rimborso esclusivamente ove coesistano un’assoluzione con le predette formule e un proscioglimento per prescrizione o amnistia54. La previsione di cui all’art. 2 comma 2 lett. b d. interm. 2021 ha carattere derogatorio e non può ritenersi sintomatica di una scelta normativa più generale. Del resto, se il decreto interministeriale avesse voluto sancire un divieto più ampio, lo avrebbe fatto espressamente, considerata la sua minuziosa attenzione nel disciplinare i profili in grado di circoscrivere l’accesso al fondo55.
3. Presentazione dell’istanza ed oggetto della rifusione: un perimetro operativo estremamente angusto.
L’istanza di accesso al Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti, istituito nello stato di previsione del ministero della giustizia ai sensi dell’art. 1 comma 1020 l. 178/2020, è presentata personalmente dall’assolto o da uno degli eredi, ovvero dall’esercente la responsabilità genitoriale o da un rappresentante legale in caso di minori o incapaci. L’istanza va trasmessa in via telematica, tramite un’apposita piattaforma sul sito istituzionale del ministero della giustizia, cui si accede tramite le credenziali SPID di secondo livello (art. 3 commi 1 e 2 d. interm. 2021). La totale digitalizzazione della procedura, se a prima vista può sembrare in linea con gli obiettivi perseguiti dalla l. 27 settembre 2021, n. 13456 in relazione all’intera giustizia penale, rischia però di rendere il rimborso poco accessibile alla popolazione meno informatizzata.
L’istanza deve altresì indicare, a pena di inammissibilità, una serie di informazioni analiticamente elencate dall’art. 3 comma 3 d. interm. 2021.
Uno dei principali punti critici della disciplina è l’estensione oggettiva del diritto: mentre i commi 1015 ss. dell’art. 1 l. 178/2020 non specificano cosa si intenda per «rimborso delle spese legali», lasciando dunque il dubbio sulla possibilità di includervi anche quelle per gli ausiliari del difensore, come i consulenti tecnici, gli interpreti e i traduttori di fiducia e gli investigatori privati autorizzati57, l’art. 1 comma 2 lett. g d. interm. 2021 ne circoscrive la portata alle «spese sostenute dall’imputato esclusivamente per remunerare il professionista legale che lo ha assistito»: in altre parole, parrebbe rimborsabile il solo compenso professionale del difensore.
Non sembra, ad una lettura sistematica, che l’espressione «professionista legale» possa estendersi agli ausiliari del difensore58. Infatti, tra gli allegati all’istanza, l’art. 3 comma 4 d. interm. 2021 menziona le sole fatture «emesse dal legale nominato difensore» e il relativo «parere di congruità del competente Consiglio dell’Ordine degli avvocati», senza menzionare eventuali fatture di altri professionisti59. Si potrebbe superare tale problema ritenendo rimborsabili i compensi per consulenti tecnici, esperti linguistici fiduciari e investigatori privati, ove anticipati dal difensore e poi indicati come spese nella sua fattura60.
Il verbo «remunerare», se inteso alla lettera, parrebbe tuttavia riferirsi al solo compenso e non alle spese anticipate dall’avvocato. Del resto, sia la normativa processual-civilistica sulla condanna alle spese (artt. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c.), sia le disposizioni del d.p.R. 115/2002 sul c.d. gratuito patrocinio distinguono le spese dagli onorari di difesa61. Per questa ragione, ad una lettura rigorosa non parrebbero rimborsabili – in quanto estranee al compenso, benché presenti nella parcella – le somme versate dal cliente al difensore a titolo di spese forfettarie del 15% ex art. 2 comma 2 d.m. 10 marzo 2014, n. 5562, di cassa previdenziale, di IVA o di imposta di bollo in caso di regime forfettario. Nondimeno, un simile concetto di spese legali, estremamente riduttivo, non solo è contrario al loro comune significato63, ma è del tutto inadeguato a coprire gli esborsi derivanti dal pieno esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa. È possibile leggere in modo estensivo la nozione di “spese legali” valorizzando gli artt. 1 comma 1017 l. 178/2020 e 3 commi 3 e 4 d. interm. 2021: la normativa si riferisce alla fattura del difensore nella sua interezza, non distinguendo al suo interno le singole voci rimborsabili, ed il parere di congruità riguarda di conseguenza tale importo, globalmente considerato (oneri accessori compresi). È pur vero che tali disposizioni sono finalizzate unicamente a indicare i documenti da produrre e non i criteri di quantificazione degli importi, ma in un decreto come quello in esame, che definisce in modo analitico sia i presupposti di accesso al fondo che le modalità di presentazione dell’istanza, ci si aspetterebbe una più puntuale specificazione delle voci rimborsabili in fattura, perlomeno qualora se ne volessero escludere alcune.
Gli artt. 1 commi 1015 s. l. 178/2020 e 2 comma 4 d. interm. 2021, per ragioni di bilancio, prevedono un limite massimo rimborsabile di 10.500 euro ad istanza, suddiviso in tre rate annuali di pari entità64. Alla luce dei parametri forensi di cui al d.m. 55/2014, la cifra può risultare palesemente inadeguata65. Ad esempio, il compenso professionale medio per il primo grado dinanzi al tribunale monocratico, per l’appello e per il giudizio di legittimità (escluse le predette somme versate dal cliente a titolo di oneri accessori), è, secondo gli attuali parametri66, pari a 13.500 euro67. In concreto, poi, la somma potrebbe aumentare notevolmente in presenza di ulteriori elementi: la particolare complessità della causa, l’attività difensiva in sede cautelare, un eventuale annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione.
Ferma restando l’esclusione dal rimborso dei procedimenti conclusisi con l’archiviazione e con la sentenza di non luogo a procedere68, la normativa non chiarisce espressamente se, qualora si pervenga in giudizio ad una sentenza di assoluzione, possa a quel punto chiedersi anche la rifusione del compenso per le attività svolte anteriormente (si pensi alle investigazioni difensive). Il comma 1015 dell’art. 1 l. 178/2020, nel riferirsi in generale al processo penale, induce a considerare rimborsabile il compenso per l’attività difensiva in udienza preliminare – sia in caso di richiesta di procedimenti speciali che in caso di prosecuzione col rito ordinario e di successivo rinvio a giudizio69 – mai presa esplicitamente in considerazione dalla normativa primaria e secondaria. Al contempo, però, è proprio il richiamo al processo penale a lasciar fuori le indagini.
Del resto, il fatto che il decreto interministeriale non abbia escluso in modo esplicito l’udienza preliminare dovrebbe confermare la rimborsabilità del compenso ad essa relativo, pur condizionando la rifusione – in modo, a dire il vero, poco ragionevole – alla successiva emissione di una sentenza assolutoria irrevocabile all’esito del giudizio. Se infatti il decreto, che ha la funzione di definire «le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento della spesa» (comma 1019 dell’art. 1 l. 178/2020), avesse inteso escludere sic et simpliciter dal rimborso l’attività difensiva prestata nell’udienza preliminare, lo avrebbe senz’altro fatto.
Ai sensi dell’art. 1 comma 1017 l. 178/2020, il rimborso è riconosciuto previa presentazione della fattura quietanzata del difensore indicante in modo espresso la causale70, assieme al parere di congruità del competente consiglio dell’ordine degli avvocati e a copia della sentenza con l’attestazione dell’irrevocabilità da parte della cancelleria del giudice che l’ha emanata71. Tale documentazione è puntigliosamente integrata da una serie di ulteriori documenti72 da allegare all’istanza ai sensi dell’art. 3 comma 4 d. interm. 2021, spesso finalizzati a comprovare le dichiarazioni rese ai sensi del comma antecedente. È criticabile l’introduzione dell’onere di versare il compenso al difensore esclusivamente con bonifico bancario (art. 3 commi 3 lett. h e 4 lett. h d. interm. 2021). Questa previsione, volta a rendere tracciabile il pagamento per verificare l’effettiva corresponsione della parcella, penalizza in modo irragionevole chi si sia servito di mezzi ugualmente tracciabili ma diversi da quello indicato, come l’assegno bancario o circolare. La norma, del tutto assente nella l. 178/2020, opera poi un’arbitraria selezione tra coloro che hanno versato le spese legali nel 2021, prima dell’approvazione del decreto in esame. L’art. 3 comma 3 lett. h d. interm. 2021 è inoltre formulato in modo infelice: dispone che il bonifico sia effettuato solo «a seguito di emissione di parcella vidimata dal Consiglio dell’Ordine», evidentemente ai sensi dell’art. 29 comma 1 lett. l l. 247/2012 («nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense»)73. Seguendo l’interpretazione letterale, verrebbero esclusi gran parte degli esborsi effettuati, anche tramite bonifico, durante il giudizio. Il parere sul compenso viene infatti chiesto di regola al termine del processo o, in caso di rinuncia o di revoca del mandato, una volta concluso il rapporto contrattuale, in modo che la valutazione dell’ordine professionale non sia meramente ipotetica, ma fondata sul reale decorso del giudizio.
4. L’elemento soggettivo. I rapporti con gli istituti processuali “limitrofi”.
A differenza delle norme sul rimborso delle spese da parte del querelante, che subordinano la rifusione ad un suo comportamento perlomeno colposo74, il rimborso delle spese legali ad opera dello Stato prescinde da ogni considerazione sulla colpa dell’autorità giudiziaria o dei suoi ausiliari. Tale differenza si giustifica considerando la specifica finalità solidaristica del nuovo istituto, il quale mira unicamente a riequilibrare gli inevitabili svantaggi che l’espletamento di un’attività lecita e socialmente necessaria – essendo imprescindibile l’accertamento statale dei reati e dei loro autori – produce nella sfera economica dell’assolto, trasferendo i relativi costi dal singolo alla collettività. Compatibile con detta ratio sarebbe anche la possibilità di compensare in tutto o in parte le spese in caso di dolo o colpa grave dell’assolto75. La novella non ha però previsto alcuna forma di compensazione76. D’altronde, la delicatezza di tale attività valutativa renderebbe preferibile l’intervento giudiziale, non previsto dal decreto interministeriale77.
Per evitare un’indebita duplicazione delle erogazioni, nel silenzio del legislatore l’art. 2 d. interm. 202178 condiziona il diritto al rimborso al fatto di non aver beneficiato nel medesimo procedimento del patrocinio a spese dello Stato (lett. c), di non aver ottenuto la condanna del querelante alla rifusione delle spese ex artt. 427 e 542 c.p.p. (lett. d)79 e di non aver diritto al già menzionato rimborso ex art. 18 comma 1 d.l. 67/1997, convertito in l. 135/1997 (lett. e)80.
La previsione di cui alla citata lett. c è di regola pleonastica, dato che l’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020 presuppone il previo pagamento del compenso da parte del cliente, mentre, in caso di accesso al gratuito patrocinio, il compenso è versato esclusivamente dallo Stato. La regola assume però rilievo qualora l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia revocata, oppure riguardi solo una parte del procedimento81. La norma pare troppo rigida: il verbo “beneficiare” sembra indicare l’avvenuta erogazione dell’importo, cosicché, anche nell’ipotesi di versamento parziale, l’istanza per il rimborso delle restanti spese difensive non potrebbe essere presentata. In caso di revoca del beneficio e di restituzione integrale della somma, la domanda è proponibile82, purché non siano spirati i brevi termini perentori per la sua presentazione.
L’omesso riferimento dell’art. 2 lett. d d. interm. 2021 all’art. 541 comma 2 c.p.p., riguardante la condanna alle spese della parte civile, è probabilmente dovuto al perimetro applicativo di tale rifusione, riferito alle sole spese sostenute dall’imputato e dal responsabile civile «per effetto dell’azione civile», cioè conseguenti alla costituzione di parte civile nel processo penale83. Il mancato richiamo all’art. 541 comma 2 c.p.p. induce a ritenere che il concetto di “spese legali” ai fini del rimborso statale, pur nel silenzio dell’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020, vada ulteriormente circoscritto alle spese inerenti all’azione penale84.
Nonostante il condivisibile proposito di evitare un ingiustificato arricchimento dell’assolto, emergono alcuni difetti di coordinamento tra le disposizioni sul rimborso da parte del querelante e la disciplina sulla rifusione ad opera dello Stato. In particolare, non si è tenuto conto del fatto che, come accennato, l’art. 427 c.p.p. consente di compensare le spese per «giusti motivi», mentre la disciplina sulla rifusione statale no. È quindi possibile che l’imputato chieda il rimborso al querelante, ottenendo però una compensazione parziale per ragioni estranee ai rapporti tra imputato e Stato, con riduzione dell’importo. A quel punto, in base all’art. 2 lett. d d. interm. 2021, che non distingue tra condanna totale e parziale alle spese ex artt. 427 e 542 c.p.p., l’assolto non potrebbe poi chiedere l’eccedenza allo Stato.
Può porre problemi operativi anche l’art. 2 lett. e d. interm. 2021, che nega il rimborso qualora l’assolto abbia astrattamente diritto alla rifusione prevista per i dipendenti statali dall’art. 18 decreto l. 67/1997, a prescindere dall’effettiva proposizione di quest’ultima richiesta. Dato che il riconoscimento del rimborso ai dipendenti pubblici non è automatico, essendo subordinato ad una stringente valutazione da parte della pubblica amministrazione85, in concreto è ben difficile per l’assolto essere certo a priori dell’esistenza del proprio diritto86. Inoltre, anche se si riconoscesse l’an della richiesta ex art. 18 d.l. 67/1997, il quantum delle spese legali potrebbe essere ridotto entro i «limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato», ponendosi dunque un problema simile a quello relativo agli artt. 427 e 542 c.p.p. Occorre poi considerare la presenza di criticabili orientamenti giurisprudenziali restrittivi: alcune pronunce reputano legittimo il provvedimento amministrativo che nega il rimborso ex art. 18 d.l. 67/1997 in caso di assoluzione con formula piena per insufficienza o contraddittorietà delle prove87. Si introduce così un arbitrario discrimine tra i commi 1 e 2 dell’art. 530 c.p.p., in contrasto con la presunzione di non colpevolezza/di innocenza ex artt. 27 comma 2 Cost. e 6 § 2 CEDU88. Non essendo un orientamento pacifico, il dipendente statale versa in una situazione d’incertezza circa l’esistenza del diritto ex art. 18 d.l. 67/1997. Per evitare la scadenza del breve termine previsto dall’art. 3 comma 5 d. interm. 2021, egli dovrebbe al più presto formulare richiesta di rimborso alla pubblica amministrazione e, ove quest’ultima neghi di rifondere le spese per le suddette ragioni, dovrebbe valutare celermente se sia opportuno impugnare il diniego tramite ricorso giudiziale. Pare comunque arduo concludere entro il predetto termine tutti i gradi del giudizio così incardinato. In caso di assoluzione ampiamente liberatoria motivata dalla mancanza, dall’insufficienza o dalla contraddittorietà della prova, la soluzione più sicura per l’imputato, consentita dall’art. 18 d.l. 67/1997, è forse la richiesta di anticipazioni a procedimento ancora in corso, al fine di comprendere per tempo l’orientamento dell’amministrazione. Tuttavia, il problema rimane qualora, ad esempio, il giudice di primo grado assolva l’imputato perché reputi pienamente provata la sua innocenza, mentre quello d’appello lo assolva, anch’esso con formula totalmente liberatoria, ma argomentando sulla base della contraddittorietà o dell’insufficienza delle prove.
Non vi sono disposizioni che regolino i rapporti della nuova disciplina con la riparazione per ingiusta detenzione ex artt. 314 s. c.p.p. e per errore giudiziario ex artt. 643 ss. c.p.p., né con il risarcimento per responsabilità civile dei magistrati (l. 13 aprile 1988, n. 117). Non dovrebbero verificarsi interferenze tra la riparazione per ingiusta detenzione e il rimborso delle spese legali. Infatti, secondo la giurisprudenza, la riparazione, rappresentando un equo ristoro di natura non risarcitoria, bensì restitutoria dei soli pregiudizi «strettamente ed inscindibilmente collegati» all’ingiusta o all’illegittima privazione della libertà personale, non comprende le spese di difesa sostenute nel procedimento penale in cui la suddetta privazione della libertà è stata posta in essere89. Possono includersi nella riparazione, a determinate condizioni, solo le spese legali relative al procedimento riparatorio90.
La l. 178/2020 e il relativo decreto interministeriale non si preoccupano in modo esplicito della sentenza di revisione, ma, ove sia pronunciata con le formule di cui all’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020, deve ritenersi che essa legittimi il rimborso delle spese legali, avendo natura anche formalmente assolutoria91. L’assenza di norme di raccordo con la riparazione per errore giudiziario ex artt. 643 ss. c.p.p. è probabilmente dovuta alla ritrosia di parte della giurisprudenza nel considerare, ai fini della riparazione, le spese legali sostenute nel precedente giudizio che ha condotto all’ingiusta condanna, pur non essendovi un orientamento univoco92. Tuttavia, la posizione restrittiva dovrebbe essere ripensata: mentre un tempo il rimborso delle spese da parte dello Stato non era concesso né in caso di condanna né di proscioglimento, cosicché la mancata rifusione poteva non ritenersi stricto sensu una conseguenza della condanna, oggi il quadro normativo è mutato. Il pagamento del compenso al proprio difensore nel processo terminato con una condanna ingiusta – del quale è stato impossibile, proprio a causa di quest’ultima, ottenere il rimborso nei brevi termini decadenziali sanciti dal decreto interministeriale – potrebbe essere dunque annoverato tra le «conseguenze personali» della condanna stessa, che legittimano la riparazione ex artt. 643 ss. c.p.p.93. Nondimeno, data la ristrettezza del termine sancito dall’art. 3 comma 5 d. interm. 2021 (il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile), è verosimile che l’assolto presenti dapprima la richiesta di rimborso delle spese legali e, in un secondo momento, la domanda di riparazione per l’errore giudiziario, il cui termine è invece più lungo (due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione, ai sensi dell’art. 645 comma 1 c.p.p.). Considerata poi la maggior complessità dell’apprezzamento cui è chiamato il giudice ai sensi degli artt. 643 ss. c.p.p. – il quale valuta la condizione ostativa del dolo e della colpa grave del richiedente e formula il quantum della riparazione – è verosimile che l’eventuale rimborso delle spese legali ex art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020 venga deciso prima della riparazione per errore giudiziario. Il giudice della riparazione, nel quantificare l’importo, deve a quel punto evitare un’indebita duplicazione degli esborsi. Nell’ipotesi contraria, in cui intervenga prima la riparazione per errore giudiziario e poi il rimborso delle spese legali, lo Stato, nonostante il silenzio della l. 178/2020 e del relativo decreto interministeriale, potrebbe decurtare l’importo già corrisposto al medesimo titolo, purché sia stato precisamente quantificato dal giudice della riparazione. Pur in assenza di specifiche norme, a tale soluzione si perviene anche in base alla ratio della rifusione delle spese: se l’assolto ha già ottenuto il rimborso, viene meno la finalità solidaristica sottesa all’istituto, fondata sull’art. 2 Cost.94. Si pongono tuttavia problemi ove il giudice della riparazione abbia considerato gli esborsi per spese difensive nell’àmbito di una valutazione globale equitativa95, senza adottare parametri rigorosi. In tal caso, la quantificazione dell’importo residuo ai fini del rimborso delle spese legali acquisterebbe margini di ampia discrezionalità, non contemplata dai criteri automatici per la valutazione delle richieste dettati dal decreto interministeriale. Ove una decurtazione non venisse disposta dal consiglio dell’ordine in sede di parere di congruità96 e lo Stato corrispondesse le spese, resterebbe un unico rimedio: l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. da parte dello Stato nei confronti dell’assolto, nei limiti in cui si sia di fatto realizzata una duplicazione, totale o parziale, del rimborso.
L’assenza di norme che coordinino la rifusione delle spese legali e il risarcimento per responsabilità civile del magistrato è probabilmente dovuto ai loro diversi presupposti97 e al fatto che, di solito, le due discipline operano su piani distinti: a differenza del risarcimento di cui alla l. 117/1988, la rifusione delle spese legali non è subordinata al dolo o alla colpa grave del magistrato98; inoltre, mentre il rimborso delle spese ha ad oggetto solo determinate sentenze assolutorie, il risarcimento ai sensi della l. 117/1988 riguarda ogni comportamento, atto o provvedimento giudiziario del magistrato, nonché le ipotesi di diniego di giustizia. Il risarcimento, diversamente dal rimborso delle spese legali, discende per sua natura da un’attività processuale illecita. Tuttavia, in concreto, non possono escludersi interferenze tra i due istituti, benché non molto frequenti99. In particolare, occorre verificare che le spese legali per l’eventuale attività difensiva ulteriore provocata dall’atto doloso o gravemente colposo dell’autorità giudiziaria (anche in sede cautelare) non vengano rimborsate due volte. Qualora l’assolto, alla fine del processo, chieda il rimborso integrale del compenso professionale del proprio difensore ai sensi della l. 178/2020 pur avendolo già parzialmente ottenuto100 (e nonostante ciò il consiglio dell’ordine esprima parere positivo), non è impensabile che lo Stato decurti, anche in questo caso, la somma versata in precedenza101, purché puntualmente quantificata con pronuncia definitiva dal giudice che ha deciso sul risarcimento. È configurabile anche l’ipotesi inversa: una volta ottenuta la rifusione di cui alla l. 178/2020, il giudice del risarcimento non potrebbe liquidare le stesse voci della parcella già rimborsate. Sarebbe onere del presidente del consiglio dei ministri, formale destinatario della richiesta risarcitoria ex art. 4 comma 1 l. 117/1988, produrre nel relativo giudizio, tramite l’avvocatura dello Stato, la prova del pagamento. In assenza di specifiche previsioni, l’ordine con cui vengono proposte le domande può tuttavia determinare delle differenze in relazione al quantum dell’azione di rivalsa nei confronti del magistrato ai sensi degli artt. 7-8 l. 117/1988, non potendo chiedersi a quest’ultimo l’importo versato all’assolto ai sensi dell’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020.
5. Termini per presentare la domanda telematica e criteri di priorità.
Come accennato, l’istanza telematica per accedere al Fondo per il rimborso delle spese legali va presentata entro un termine perentorio piuttosto breve: il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui la sentenza di assoluzione è divenuta irrevocabile (art. 3 comma 5 d. interm. 2021)102.
Per garantire un trattamento uniforme, sarebbe stato più opportuno stabilire un unico termine uguale per tutti (ad esempio un anno dall’irrevocabilità della sentenza), ferma restando la redazione di una graduatoria annuale relativa alle domande presentate dal 1° gennaio al 31 dicembre di un determinato anno. In ogni caso, la scelta normativa non può dirsi manifestamente irragionevole, fornendo comunque un termine sufficiente per formulare la richiesta.
I criteri di priorità ai fini della rifusione, stabiliti dall’art. 4 d. interm. 2021, sono formulati tenendo conto del «numero di gradi di giudizio cui l’assolto è stato sottoposto» e della «durata del giudizio», ai sensi dell’art. 1 comma 1019 l. 178/2020.
In particolare, hanno precedenza le domande degli imputati assolti irrevocabilmente con pronuncia della Cassazione o del giudice del rinvio, o comunque a seguito di un processo di durata superiore ad otto anni (art. 4 comma 1 lett. a d. interm. 2021)103. Vengono poi soddisfatte le istanze degli assolti con pronuncia definitiva del giudice d’appello o comunque al termine di un processo durato oltre cinque anni e non più di otto (art. 4 comma 1 lett. b d. interm. 2021). Seguono le domande degli imputati assolti con sentenza irrevocabile del giudice di primo grado o comunque all’esito di un processo durato fino a cinque anni (art. 4 comma 1 lett. c d. interm. 2021). All’interno di ognuno dei tre gruppi, hanno priorità gli assolti il cui processo abbia avuto una durata maggiore e, in caso di pari durata, quelli con un reddito inferiore (art. 4 comma 2 d. interm. 2021). Il criterio reddituale, seppur non previsto dall’art. 1 comma 1022 l. 178/2020, è condivisibile, essendo configurato come residuale rispetto a quelli di derivazione legislativa e risultando conforme alla ratio solidaristica dell’istituto.
Il riferimento alla durata del solo processo pare escludere le indagini dal computo temporale, ricomprendendo però l’udienza preliminare104.
La normativa non ha considerato le specificità dei processi definiti irrevocabilmente a seguito di ricorso per saltum ex art. 569 c.p.p., nei quali non si siano verificati annullamenti con rinvio da parte dei giudici nomofilattici: in tali ipotesi il richiedente, pur avendo subìto due gradi di giudizio al pari di coloro che sono stati assolti nei processi ex art. 4 lett. b d. interm. 2021, viene rimborsato prioritariamente rispetto ad essi per il semplice fatto che il processo, essendosi concluso con una pronuncia della Cassazione, rientra fra quelli cui alla lett. a del medesimo articolo. L’opzione normativa, che pone qualche dubbio di ragionevolezza, potrebbe, al più, giustificarsi sulla base della maggiore onerosità del giudizio dinanzi ai giudici nomofilattici rispetto al grado d’appello, dovuto in primis al maggior livello di tecnicismo richiesto.
L’amministrazione statale redige la graduatoria senza esaminare la complessità del caso, l’oggetto del processo e i comportamenti dei soggetti intervenuti. Tali criteri sono invece previsti al fine di quantificare il risarcimento per durata irragionevole del processo, in base all’art. 2 comma 2 l. 24 marzo 2001, n. 89. Tuttavia, nonostante il silenzio del d. interm. 2021, detti elementi, pur non considerati dal ministero nella formulazione dell’elenco, sono previamente valutati dal consiglio dell’ordine nel parere di congruità sul quantum della parcella. Parametri simili operano infatti ai sensi dell’art. 4 d.m. 10 marzo 2014, n. 55 (regolamento sui compensi per la professione forense), ove difettino specifici accordi tra avvocato e cliente. Nondimeno, anche in caso di pattuizione scritta sul compenso tra difensore e cliente ai sensi dell’art. 13 l. 31 dicembre 2012, n. 247105, questi criteri possono operare analogicamente per stimarne la congruità106.
Prima di procedere ai rimborsi, il ministero della giustizia effettua controlli sulla veridicità delle dichiarazioni e sulla presenza dei presupposti per accedere al fondo, potendo anche servirsi del personale di Equitalia giustizia S.p.A. L’elenco viene infine approvato dal ministero con decreto del capo dipartimento per gli affari di giustizia ed è pubblicato sulla stessa piattaforma digitale utilizzata per presentare l’istanza. Dopodiché, trascorsi quindici giorni, viene emesso il mandato di pagamento (art. 5 commi 1-4 d. interm. 2021).
Un serio vulnus all’effettività della disciplina è rappresentato dal fatto che, in caso di mancato rimborso, quale che ne sia la causa (non solo per inammissibilità della domanda, ma anche per insufficienza delle risorse stanziate), l’istanza non può essere ripresentata (art. 5 comma 5 d. interm. 2021).
6. L’insufficienza degli importi stanziati.
Se si confrontano i dati sui proscioglimenti in giudizio con l’esiguo importo stanziato annualmente per rimborsare gli assolti (otto milioni di euro annui), ci si avvede come la riforma prometta molto più di quanto possa mantenere.
Nell’anno giudiziario 2020/2021, circa 108.500 su oltre 235.000 processi dinanzi al giudice dibattimentale e alla corte d’assise si sono conclusi con una sentenza di proscioglimento107. In tale quantificazione sono ricompresi anche i proscioglimenti non legittimanti il rimborso (ad esempio le pronunce di non doversi procedere per prescrizione del reato), ma, se si considera che nel 2020 i processi presso il tribunale ordinario terminati con una sentenza di prescrizione sono stati 22.751, si comprende che il dato resta comunque ragguardevole108. Dal computo sono inoltre escluse le sentenze assolutorie rese dal giudice dell’udienza preliminare in veste di giudice di primo grado, a seguito dell’instaurazione del giudizio abbreviato.
Pur non essendo nota la percentuale di impugnazioni sul totale delle sentenze di prime cure, la quantità di assoluzioni è destinata a decrescere leggermente dal primo al secondo grado di giudizio, in ragione del più alto numero di riforme in peius rispetto a quelle in melius. In particolare, nell’anno giudiziario 2020/2021 le sentenze d’appello assolutorie che hanno riformato la precedente condanna sono state 9.435, mentre le sentenze di condanna che hanno riformato la precedente assoluzione (o comunque il proscioglimento) sono state 25.671109.
I mutamenti quantitativi nel grado di legittimità paiono marginali, dato che nel 2021 i ricorsi rigettati o dichiarati inammissibili sono stati l’81,0% del totale (37.858 su 46.736), proporzione che non cambia in modo rilevante espungendo i ricorsi inerenti a misure cautelari, i ricorsi straordinari e quelli riguardanti la fase esecutiva e i rapporti con le autorità straniere. Benché, nel medesimo periodo, la percentuale di inammissibilità e di rigetti in caso di impugnazione del pubblico ministero sia risultata più bassa della media generale (46,1%), il dato non è determinante, considerata l’esiguità numerica dei procedimenti incardinati a seguito del solo ricorso dell’accusa (1.798, pari al 3,8%)110.
Da questi numeri si comprende come l’importo annuale di otto milioni di euro, stanziati dallo Stato per rimborsare gli assolti, sia totalmente inadeguato. Considerati i criteri di priorità dell’art. 4 d. interm. 2021, che accordano precedenza agli assolti a seguito di processi lunghi e con molti gradi di giudizio (e perciò più dispendiosi), è verosimile che il tetto massimo di 10.500 euro ad istanza venga spesso raggiunto, salve ovviamente le ipotesi, di certo non trascurabili, in cui il cliente abbia omesso di corrispondere parte del compenso al professionista.
Supponendo comunque la puntualità nei pagamenti da parte del cliente, se si divide la somma di otto milioni di euro per 10.500 e si approssima il risultato all’unità, si ottengono soltanto 762 rimborsi, a fronte, come si è visto, di decine di migliaia di sentenze assolutorie: un numero, come si è detto, pressoché simbolico111.
7. Conclusioni: qualche riflessione de iure condendo alla luce delle statistiche.
La normativa avrebbe bisogno di essere ampiamente ripensata. Tuttavia, qualsiasi riforma in grado di conferirle effettività necessiterebbe di un serio investimento dello Stato, ben maggiore rispetto a quello previsto dall’art. 1 comma 1020 l. 178/2020.
Risulterebbe più coerente sotto il profilo sistematico trasferire la disciplina nel codice di procedura penale, ad esempio con l’introduzione di un art. 531-bis c.p.p., abrogando gli artt. 115-bis d.p.R. 115/2002112 e 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. in l. 23 maggio 1997, n. 135.
In linea teorica, come osservato, sarebbe auspicabile prevedere il rimborso delle spese legali anche nelle indagini, in caso di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Si pone, tuttavia, un rilevante problema economico: nell’anno giudiziario 2020/2021, i decreti di archiviazione ammontavano a 429.898, pari al 68% dei provvedimenti definitori della sezione g.i.p.-g.u.p. presso i tribunali ordinari113. Nonostante il dato sia complessivo, essendo computati anche i proscioglimenti non totalmente liberatori (primo tra tutti la prescrizione del reato114), il numero è comunque elevatissimo. Considerando l’importo medio dei parametri forensi di cui al d.m. 55/2014, il compenso per le indagini preliminari è di 3.600,00 euro, ma potrebbe aumentare considerevolmente in caso di investigazioni difensive e di procedimenti cautelari115. Ad ogni modo, moltiplicando 3.600 per 429.898, l’ipotetica somma da stanziare risulterebbe pari ad euro 1.547.632.800,00, difficilmente sostenibile.
Supponendo una riforma che si concentri solo sul processo, è preferibile attribuire la decisione sulle spese al giudice che emana la sentenza, in udienza preliminare e nelle fasi successive. La scelta, sulla falsariga di quanto avviene nel codice di rito civile, presenterebbe l’inconveniente di dover riformulare il quantum in caso di impugnazione116, ma avrebbe il pregio di affidare la valutazione sulle spese all’autorità che già conosce il caso, evitando dunque di investire un altro giudice una volta divenuta irrevocabile la pronuncia (come invece avverrebbe qualora si mutuassero gli schemi procedurali degli artt. 643-647 c.p.p.117). Quest’ultimo dovrebbe studiarsi ex novo la vicenda, con l’effetto di gravare gli uffici giudiziari di un ulteriore carico di lavoro118.
Nondimeno, per evitare che il giudice disponga condanne alle spese in presenza di un sostanziale disinteresse dell’imputato al rimborso (eventualità rara, ma che potrebbe verificarsi in caso di imputati abbienti), potrebbe subordinarsi la stessa ad un’esplicita richiesta del difensore in sede di discussione finale119. Al momento della domanda, si dovrebbe produrre una nota spese formulata seguendo i parametri ministeriali, allo scopo di velocizzare la quantificazione giudiziale delle somme. È dunque pensabile l’introduzione, mutatis mutandis, di una norma simile all’art. 75 disp. att. c.p.c. («nota delle spese»), che comunque non preveda sanzioni processuali in caso di omesso deposito della medesima. Essa si collocherebbe tra le disposizioni attuative del codice di rito penale, ad esempio in un art. 152-bis disp. att. c.p.p., posto immediatamente prima dell’art. 153 disp. att. c.p.p. dedicato alla nota spese della parte civile.
All’inserimento dell’istituto nella sequenza processuale devono comunque affiancarsi ulteriori interventi, che, complessivamente considerati, superino le criticità e le lacune dell’attuale normativa: un ampliamento soggettivo ed oggettivo della disciplina, una definizione più puntuale delle spese rimborsabili e dei criteri per calcolare il quantum del compenso professionale, previsioni di coordinamento con gli artt. 427 e 542 c.p.p., specifiche norme in materia di impugnazioni.
Dal punto di vista soggettivo, è infatti necessario estendere i beneficiari della rifusione: non solo l’imputato ma anche la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, con i rispettivi eredi.
Inoltre, per evitare i problemi di illegittimità costituzionale già evidenziati120, occorre contemplare epiloghi ulteriori rispetto a quelli già previsti dall’attuale normativa, tra cui i proscioglimenti per violazione del ne bis in idem, per opposizione di un segreto di Stato, per morte dell’imputato prima della condanna, per derubricazione del fatto ex art. 521 c.p.p. da reato procedibile d’ufficio in reato procedibile a querela ove difetti quest’ultima, per assenza ab origine di una condizione di procedibilità121. Al fine di evitare un’elencazione analitica, che si esporrebbe al rischio di omissioni, si potrebbe prevedere la condanna dello Stato alle spese legali in presenza di qualsiasi pronuncia di proscioglimento (con alcune eccezioni, come il difetto d’imputabilità e la particolare tenuità del fatto), salva la possibilità per il giudice di ridurre l’importo o di negare in toto il rimborso per specifiche ragioni122. Il ricorso ad una soluzione “aperta” anziché ad un numerus clausus di ipotesi – adottata anche da altri ordinamenti, come quello francese123 – va tuttavia attentamente vagliato sotto il profilo economico: verrebbero incluse, perlomeno in linea teorica, anche le pronunce di prescrizione del reato, pari nel 2020 a 1.257 nel dibattimento presso il giudice di pace, a 30.538 dinanzi al tribunale ordinario (comprese le sentenze della sezione g.i.p.-g.u.p.), a 21.393 in corte d’appello e a 468 davanti alla Cassazione, per un totale (escluse le archiviazioni) di 53.656124. Anche qualora venisse fissato un tetto massimo nel compenso pari ad euro 10.500,00 (limite, come osservato, facilmente superabile), l’importo annuale da stanziare per le sole ipotesi di prescrizione ammonterebbe ad euro 563.388.000,00. È vero che, attribuendo al giudice un potere di diminuzione della somma in caso, ad esempio, di comportamenti dilatori dell’imputato, tale cifra si ridurrebbe. Non è tuttavia calcolabile preventivamente l’entità della diminuzione, essendo la prescrizione dovuta spesso a fattori organizzativi estranei all’imputato, che non potrebbero essergli attribuiti. Vi è anche il rischio che la magistratura, a quel punto, si faccia indebitamente carico del contenimento dei costi processuali, svuotando di effettività la disciplina mediante un ampio uso delle “specifiche ragioni” per ridurre o negare il rimborso125. Va poi valutato col tempo l’impatto delle recenti riforme sulla prescrizione e, da ultimo, della l. 134/2021, che ha disposto la definitiva cessazione del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di prime cure126 ed ha introdotto, nei gradi successivi, l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ex art. 344-bis c.p.p.
La possibilità di compensare totalmente o parzialmente le spese legali garantirebbe soluzioni più eque anche in presenza di esiti misti, in cui la sentenza assolve l’imputato per alcuni capi d’imputazione e lo condanna per altri.
Come anticipato, un altro aspetto da riformare è la disciplina sul quantum del compenso legale e sulle tipologie di spese rimborsabili.
Innanzitutto, potrebbe farsi esclusivo riferimento ai parametri fissati nel relativo decreto del ministro della giustizia – oggi il d.m. 55/2014 – disponendo che la libera pattuizione tra avvocato e cliente ai sensi dell’art. 13 l. 247/2012, pur conservando efficacia nei loro rapporti interni, non vincoli lo Stato per le somme eventualmente eccedenti rispetto ai menzionati parametri127.
È inoltre auspicabile sancire la rimborsabilità di tutte le spese sostenute a causa del processo, nonché dei compensi di consulenti tecnici, esperti linguistici di fiducia e investigatori privati autorizzati, nei limiti in cui le relative attività, concordate con il cliente, non potessero ritenersi superflue ai fini difensivi al momento della loro effettuazione128. Per fare questo, occorre delineare a livello legislativo il perimetro delle “spese legali”, indicando ciò che in esso va ricompreso. In alternativa, è pensabile una formulazione simile a quella dell’art. 91 comma 1 c.p.c., che distingue tra spese e onorari di difesa (oggi compenso professionale del difensore), considerando entrambi rimborsabili. Al contempo, vanno uniformati gli artt. 427, 541, 542, 574 e 607 c.p.p., che oggi parlano genericamente di «spese processuali» e di «spese»129. Occorre discernere, a seconda dei casi, le spese processuali vere e proprie, necessarie a compiere gli atti del processo, dalle spese legali, che riguardano l’attività difensiva130. La disciplina andrebbe completata con un’apposita previsione sul difensore antistatario, simile all’art. 93 c.p.c.: il difensore che ha anticipato le spese per la difesa e che non ha riscosso il compenso dovrebbe avere la possibilità, previa procura del proprio assistito, di chiedere al giudice la distrazione in suo favore, con la sentenza di proscioglimento, delle spese anticipate e del compenso professionale non riscosso. La norma potrebbe collocarsi tra le disposizioni attuative, inserendo ad esempio un art. 153-bis disp. att. c.p.p.
Un ulteriore profilo attinente alla determinazione delle spese rimborsabili da parte dello Stato, su cui il legislatore dovrebbe intervenire, concerne il coordinamento della disciplina in esame con gli artt. 427 e 542 c.p.p.131. Il pagamento delle spese legali da parte dello Stato può essere configurato come residuale rispetto a quello del querelante132: lo Stato si attiverebbe solo qualora non vi fossero, neppure in astratto, i presupposti per chiedere il rimborso al querelante (si pensi ai proscioglimenti non previsti dai suddetti articoli), oppure in caso di rigetto della domanda (ad esempio per difetto di colpa del querelante stesso). In presenza di una compensazione parziale delle spese, lo Stato sarebbe tenuto a versare solo l’eccedenza. Nell’ipotesi di condanna alle spese del querelante, il prosciolto potrebbe rivalersi sullo Stato solo dopo averlo escusso infruttuosamente. Non sussistono invece sovrapposizioni concettuali con l’art. 541 comma 2 c.p.p.: esso riguarda infatti le spese legali sostenute dall’imputato (e dal responsabile civile) a causa dell’azione civile esercitata dal danneggiato nel processo penale, mentre il rimborso statale concerne le spese relative all’azione penale. Il problema, più che sul piano teorico, può porsi a livello pratico, essendo difficile per il giudice suddividere in modo analitico le spese tra Stato e parte civile.
Infine, la riforma dovrebbe essere completata con interventi mirati nella disciplina delle impugnazioni, per evitare che sia la giurisprudenza a colmare i silenzi normativi. Vanno introdotte previsioni sull’impugnabilità delle disposizioni riguardanti le spese legali contenute nella sentenza133. Per l’imputato si possono interpolare, come osservato, gli artt. 574 e 607 c.p.p. Per il pubblico ministero è pensabile l’inserimento di un apposito articolo, ad esempio dopo l’art. 570 c.p.p. o dopo l’art. 573 c.p.p., che preveda l’impugnabilità da parte dello stesso dei capi della sentenza relativi alle spese legali. Nell’art. 608 c.p.p. si potrebbe aggiungere un comma 1-ter che sancisca la possibilità per il pubblico ministero di ricorrere per cassazione contro le sole disposizioni riguardanti le spese legali. Andrebbe inserita una previsione sulla condanna dello Stato alle spese legali negli artt. 592 e 616 c.p.p. Per garantire il rimborso delle spese del giudizio di revisione, è auspicabile introdurre un’apposita norma anche nell’art. 637 c.p.p.
In definitiva, come si è visto, la disciplina introdotta dall’art. 1 commi 1015 ss. l. 178/2020 e dal d. interm. 2021 rappresenta un importante progresso verso la piena affermazione del principio di soccombenza nel processo penale e verso una più compiuta tutela del prosciolto. Essa però, così com’è, risulta una conquista poco più che simbolica, non essendo adeguatamente finanziata e presentando ambiguità ed evidenti limitazioni, nonché un iter farraginoso di presentazione della domanda, per di più esperibile al di fuori del processo. È dunque fondamentale una profonda rimeditazione della normativa nel senso sopra descritto, in modo da rendere il rimborso effettivamente accessibile alla persona prosciolta, fugando al contempo i dubbi di illegittimità costituzionale.
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