Artigo
Doppiare parole tabù: insulti e imprecazioni nella serie tv Lupin
Dubbing taboo words: insults and swearing in the French TV series Lupin
Doppiare parole tabù: insulti e imprecazioni nella serie tv Lupin
Cadernos de Tradução, vol. 44, no. 2, Esp., e99721, 2024
Universidade Federal de Santa Catarina
Received: 19 April 2024
Revised document received: 11 May 2024
Accepted: 10 June 2024
Published: 01 June 2024
Riassunto: L’articolo si pone come obiettivo l’analisi delle battute filmiche di carattere conflittuale contenute nella terza stagione di Lupin, serie televisiva di successo tanto in Francia quanto in Italia e attualmente disponibile sulla piattaforma Netflix. In particolare, nelle pagine che seguono, ci concentreremo sulle espressioni proprie del linguaggio tabù, in un’ottica contrastiva francese-italiano, tenendo conto di quanto viene restituito nel doppiaggio dalla lingua d’origine a quella d’arrivo. In questo senso, riprendendo le categorizzazioni proposte nella letteratura sull’impoliteness, sul turpiloquio e sul linguaggio conflittuale, e consapevoli dell’artificiosità della conversazione cinematografica, intendiamo sistematizzare termini ad alta frequenza d’uso nella lingua francese colloquiale e riproposti allo schermo, come putain, merde et foutre, senza tralasciare insulti meno forti dal punto di vista perlocutorio, ma che si ritrovano spesso all’interno di interazioni quotidiane autentiche. Concluderà il contributo una breve riflessione sul concetto di tolleranza della violenza verbale, da leggersi in stretta connessione con la cultura d’appartenenza.
Parole chiave: Insulti, imprecazioni, linguaggio tabù, serie tv francesi, doppiaggio.
Abstract: This article aims at analysing conflicting movie (acting) lines embedded in the third season of Lupin, an acclaimed TV series among French and Italian audience and currently available on the famous streaming service Netflix. In particular, we will focus on the terms and phrases ascribable to taboo language from a contrastive perspective, in order to assess the accuracy (of the French-) Italian dubbing. In this respect, taking into consideration impoliteness categorizations available in literature about swear words and conflicting language, and considering the artificiality of movie conversation, we intend to systematise high frequently used terms in French colloquial speech presented on the screen such as putain, merde or foutre, in all its variants, without overlooking on insults, whose perlocutionary effect has surely less strength although they are often found in authentic daily interactions. In conclusion, we will briefly reflect on the concept of verbal violence strictly connected to cultural identity.
Keywords: Translation Studies, attitudes, Portugal, television, translation strategies.
1. Introduzione
Il presente lavoro prende avvio dal nostro interesse per i prodotti audiovisivi d’Oltralpe e, in particolar modo, per la serie televisiva Lupin che, dal 2021, rappresenta uno dei maggiori successi della piattaforma Netflix. Nelle righe che seguono, infatti, porremo le basi teoriche per esaminare i dialoghi filmici conflittuali contenuti all’interno della terza stagione di Lupin, disponibile in Italia dal 5 ottobre 2023. L’obiettivo è quello di rilevare le espressioni tabù, in un’ottica contrastiva francese-italiano, e di verificarne l’efficacia pragmatica attraverso la percezione che di esse ha il pubblico, tanto nella lingua di partenza, quanto in quella di arrivo. Lo studio si inserisce, quindi, in un ampio quadro teorico che prende necessariamente in considerazione la letteratura sulla traduzione audiovisiva, quella sull’analisi del discorso in interazione (ADI) e quella sui tabù linguistici. Nella prima parte metteremo in luce le nozioni teoriche su cui poggia il lavoro di ricerca e, in un secondo momento, procederemo con la presentazione dei dati, ovvero la loro analisi e categorizzazione. Concluderanno il contributo osservazioni di carattere sociolinguistico.
Per parlato filmico si intende la lingua utilizzata dagli attori sullo schermo, che ricalca il parlato spontaneo, la parola autentica. Si tratta di una lingua artificiale che tenta di riprodurre in maniera piuttosto fedele ciò che può essere ascoltato in un reale contesto interazionale. Da qui, l’interesse di inserire il nostro lavoro all’interno del panorama sul discorso in interazione: riteniamo, infatti, che l’analisi del dialogo filmico – tenuto conto delle limitazioni di seguito riportate – possa essere un valido strumento per lo studio della lingua, a livello lessicale, sintattico e pragmatico. Se da un lato è vero che, per ragioni di fruibilità, comprensibilità e di tempistiche obbligate, il parlato filmico può accogliere solo parzialmente ciò che Sandra Teston Bonnard (2010, p. 813) definisce le scories de l’oral (it. scorie dell’orale), intendendo con questa espressione esitazioni, false partenze, autocorrezioni, tipiche di un discorso spontaneo; dall’altro, è innegabile che questo tipo di parlato differisce dalla lingua scritta, sulla quale in realtà poggia. È un parlato-recitato (Nencioni, 1976) che, pur non restituendo la sintassi caotica della lingua orale autentica, la imita. Sabatini (1982, p. 105) lo definisce come un sottogenere della “lingua trasmessa” e qualche anno più tardi, Mary Snell-Hornby (1997, p. 277) parla di una “lingua scritta per essere letta” che, secondo Catania
Adotta un repertorio stabile e vario di registri e codici che possiedono un valore funzionale non trascurabile e in cui matrici dialettali, variazioni locali e toni colloquiali vengono accettati solamente in misura limitata, evidenziando una spiccata tendenza alla standardizzazione e all’attenuazione delle varietà (2013, p. 9).
Le riflessioni sviluppate all’interno del presente contributo ci consentiranno di tornare a riflettere su questa citazione, osservando in che modo Lupin viene restituito nella versione doppiata in italiano. A tal proposito, ricordiamo che il doppiaggio è la tecnica traduttiva maggiormente diffusa in Italia ed è considerato da Gambier (2003) uno dei tredici metodi di trasferimento linguistico. Si distingue in doppiaggio in sincrono e doppiaggio in oversound: nel primo – tipico dei film o delle serie televisive – la voce del doppiatore sostituisce quella dell’attore originale, con particolare attenzione alla sincronizzazione1 e all’adeguamento delle articolazioni labiali; il doppiaggio in oversound, invece, rende udibile la voce originale, a cui quella del doppiatore si sovrappone con qualche secondo di ritardo: si tratta della tecnica perlopiù utilizzata in Italia per la trasmissione di documentari e interviste. Riteniamo, tuttavia, opportuno sottolineare che il parlato filmico non è il doppiaggese: i due termini, pur coesistendo spesso all’interno di studi dedicati alla traduzione audiovisiva e avendo come oggetto la lingua prefabbricata2 di cui sopra, assumono connotazioni distinte, pressoché antitetiche. Con l’espressione “parlato filmico” ci riferiamo a una lingua, restituita dai doppiatori, che il pubblico di arrivo non percepisce come artificiosa, innaturale; è sicuramente una lingua filtrata, purificata da imprecisioni linguistiche e caratterizzata dal rispetto dei turni di parola, ma che tende a riproporre in maniera piuttosto fedele la spontaneità del parlato-parlato (Nencioni, 1976). Al contrario, il doppiaggese è connotato negativamente e in maniera dispregiativa (Perego, 2005), poiché riconosciuto come “lingua di un doppiaggio scadente o poco accurato, è una varietà pseudo-colloquiale dell’italiano, caratterizzata da appiattimento delle differenze linguistiche, ridondanza e preferenza per elementi esogeni al posto di equivalenti italiani” (Sileo, 2015, p. 56).
A seguire analizzeremo i sette capitoli che compongono la terza stagione di Lupin. Opereremo, tuttavia, una selezione delle battute poiché gli scambi di maggior interesse per noi, quelli di carattere ingiurioso, sono propri di un contesto conflittuale, che si concretizza verbalmente nell’espressione di insulti e imprecazioni, ossia nell’adozione di un linguaggio tabù. Il discorso conflittuale è stato oggetto di numerosi studi3 e dal punto di vista interazionale viene definito come “an incompatible interaction between at least two actors, whereby one of the actors experiences damage, and the other actor causes this damage intentionally, or ignores it” (Mason & Rychard, 2005, p. 1). Si rompe, così, un anello della catena conversazionale e, intenzionalmente, si ricorre alla scortesia (impoliteness) che, come ricorda Bazzanella, deve essere considerata “non solo come violazione di aspettative o norme sociali di cortesia ma in un senso più ampio, anche come termine ombrello che include una varietà di fenomeni caratterizzati da modi e gradi diversi di offesa rispetto alla persona o gruppo insultata/o” (Bazzanella, 2020, p. 12). L’intenzionalità dell’atto comunicativo non deve essere sottovalutata: già nel 1987, elaborando la teoria della cortesia4, Brown e Levinson introducevano la nozione di FTA (Face Threating Acts), ovvero atti minacciosi per la faccia (face)5. Riprendendo, infatti, gli studi di Goffman sulla faccia, ne ampliavano la definizione riconoscendo l’esistenza di una faccia positiva e una faccia negativa e distinguevano tra FTA off record, atto comunicativo non manifestamente intenzionale, ambiguo e FTA on record, atto comunicativo consapevole, intenzionale ed esplicito, volto a minacciare la faccia dell’interlocutore. Sulla scorta di ciò, la violenza verbale diventa oggetto di studio della pragmatica linguistica, giacché l’insulto può configurarsi come un atto linguistico con valore perlocutorio6 il cui obiettivo è produrre un effetto sull’interlocutore: minacciare la sua faccia e farlo sentire offeso e, appunto, insultato.
Bazzanella (2020) sistematizza la violenza verbale e individua diversi tipi di FTA, precisando, tuttavia, che i confini tra le categorie proposte di seguito risultano ancora fuzzy, nebulosi. Troviamo quindi:
slurs o epiteti denigratori, volti a offendere il destinatario in quanto appartenente ad un gruppo target, per ragioni di carattere religioso, etnico o sessuale;
hate speech o discorso che incita all’odio, di carattere pubblico e diffuso per mezzo dei media;
swearing o bad language, l’insieme di parolacce, imprecazioni, insulti, turpiloqui utilizzati tanto in contesti privati quanto pubblici.
Tra le categorie proposte, riconosciamo l’ultima come maggiormente pertinente per il nostro studio: è qui, infatti, che trovano spazio le parole tabù rilevate nel corso delle analisi di Lupin. Prima di entrare nel dettaglio, però, vale la pena soffermarsi un attimo sulla violenza verbale, sul discorso conflittuale, sull’impoliteness come rottura di una pratica sociale, dell’azione cooperativa che è alla base di ogni interazione. Si tratta, in realtà, di una rottura che può essere ritualizzata poiché rappresenta essa stessa una pratica sociale. Come afferma Pistolesi (2007, p. 116):
Perché un insulto raggiunga il suo scopo, che è quello di ferire e mortificare, è necessario che il destinatario riconosca l’intenzione del proprio aggressore. La violenza verbale consiste nel paradosso per cui la vittima è costretta a condividere, per poterli interpretare come tali, almeno temporaneamente, i valori di chi la assale
(è infatti un atto performativo).Questa condivisione tra aggressore e vittima, tra insultatore e insultato, implica l’idea di consapevolezza della messa in atto di una pratica linguistica e sociale, quindi si pone alla base della ritualizzazione del discorso conflittuale, la cui manifestazione più forte e connotata è l’insulto. Esso viene definito nel dizionario Treccani come
Grave offesa ai sentimenti e alla dignità, all’onore di una persona (per estens., anche a istituzioni, a cose astratte), arrecata con parole ingiuriose, con atti di spregio volgare (come per es. lo sputo, un gesto sconcio, ecc.) o anche con un contegno intenzionalmente offensivo e umiliante
(Treccani s.d.).Trova così conferma la distinzione operata da Azzaro (2005), poi ripresa da Kurniawati (2019), tra swearing e insult, dove l’atto dello swearing, l’imprecazione, è rivolto alla situazione generale, mentre l’insulto individua un destinatario preciso. Resta, tuttavia, il fatto che l’imprecazione stessa può trasformarsi in insulto, se accompagnata da un vocativo, come nella frase: Fanculo, Luca!
2. Presentazione del corpus
La terza stagione di Lupin rappresenta, come annunciato poc’anzi, il corpus sul quale abbiamo svolto le analisi per un confronto linguistico francese-italiano relativo alla trasposizione delle espressioni tabù attraverso il doppiaggio. Includiamo nell’insieme dei tabù, tutti i lessemi o le espressioni morfosintattiche che si manifestano in occasione di una disputa verbale tra due o più personaggi e che mantengono una connotazione volgare, benché ormai la loro frequenza d’uso nelle interazioni autentiche sia alta. In questo senso, sarà proprio sulla questione della percezione e della tolleranza che si chiuderà il presente contributo, lasciando aperte nuove prospettive di ricerca.
In accordo con Pavesi e Malinverno (2000) riteniamo che, all’interno del dialogo cinematografico, le parole tabù svolgano una precisa funzione, sia essa descrittiva, di vocativo o di interiezione, e siano portatrici di una carica emotiva più o meno intensa che il locutore verbalizza. Certo è che, inserendosi all’interno di un prodotto audiovisivo, l’espressione tabù deve rispettare la sensibilità del pubblico ampio e variegato cui, quella che nel nostro caso è una serie televisiva, è destinata; altrimenti detto, le cosiddette “parole oscene” devono rispondere a un criterio di ammissibilità nella norma e nella consuetudine per non risultare inappropriate rispetto al contesto e urtare, quindi, la sensibilità di chi si trova all’ascolto. Le emozioni di rabbia e frustrazione sono alla base del linguaggio conflittuale, ma è sul modo in cui esse vengono verbalizzate, nonché sulla reazione da esse scaturita, che poggia la distinzione cui accennavamo sopra, quella tra swearing e insult: nel primo caso, il locutore agisce in maniera istintiva, spesso inconsapevole, parlando a se stesso ed esternando il sentimento negativo che sembra prendere il sopravvento in un’occasione data. Al contrario, l’insulto è esplicitamente rivolto a un destinatario cui si richiede una reazione, una risposta, sia essa verbale o gestuale. Se da un lato, per le imprecazioni si ricorre tendenzialmente e in misura maggiore al campo semantico della religione o della scatologia, per gli insulti il panorama è più ampio: ai termini scatologici e religiosi si aggiungono i riferimenti alla sfera della sanità mentale, della sessualità e delle parti del corpo, come vedremo in dettaglio a breve.
La scelta di prendere in esame, in questa occasione, i suddetti episodi di Lupin è motivata dal fatto che la serie televisiva francese ha avuto e continua ad avere un enorme successo in tutta Europa, dovuto alla notorietà del personaggio stesso, Arsenio Lupin, nato nella letteratura e trasmesso di generazione in generazione attraverso cartoni animati e serie tv. A ciò si aggiunge la scelta dell’attore protagonista, Omar Sy, premio César come migliore attore per il film Intouchables (it. Quasi amici, 2011), in cui interpretava il ruolo di Driss, badante sui generis di Philippe, uomo colto e ricco, portatore di handicap. In Lupin, invece, Omar Sy veste i panni di Assane Diop, un ragazzo che, diventato uomo, desidera vendicare l’ingiusta condanna del padre per un furto non commesso, traspone nella realtà le imprese del personaggio letterario Arsenio Lupin di Maurice LeBlanc. Alcuni studi precedenti al nostro, relativi alle prime due stagioni della stessa serie uscite nel 2021, hanno già conosciuto una pubblicazione, seppur in una prospettiva diversa. Ci è sembrato, dunque, opportuno mantenere accesi i riflettori sul tema ed esplorarne la terza parte, quella più recente (2023).
La serie è suddivisa in 7 capitoli (287 minuti totali), per i quali riportiamo di seguito la durata e una breve sintesi:
Capitolo 1 (51 minuti): Assane Diop vuole portare il figlio (Raoul) e la moglie (Claire) via dalla Francia per iniziare una nuova vita, più agiata, insieme. Decide quindi di escogitare un piano molto rischioso che prevede il furto di una perla nera dal valore inestimabile.
Capitolo 2 (48 minuti): Il Paese è scosso per la morte di Assane Diop, ma non tutti vogliono crederci: due persone si mostrano fortemente dubbiose, il poliziotto Guédira e il figlio stesso di Assane, Raoul Diop.
Capitolo 3 (52 minuti): Guédira stringe un patto con Fleur, una giornalista che da sempre si occupa del caso Diop; come lei, crede che esista un legame tra le azioni di Assane e le avventure di Lupin. Intanto, nell’ombra, Assane continua a proteggere la sua famiglia.
Capitolo 4 (43 minuti): Assane riesce finalmente a scoprire il responsabile del rapimento di sua madre, ma il ritrovamento della donna appare ancora lontano. Con l’aiuto di Benjamin Ferel, migliore amico e suo stretto collaboratore, Assane cerca di arrivare alla conclusione delle ricerche, sacrificando anche la relazione di amicizia.
Capitolo 5 (42 minuti): A seguito di alcune informazioni ricevute, Claire, la moglie di Diop, comincia a dubitare della morte del marito e a credere che ancora una volta sia riuscito a fuggire, mettendo in scena la propria morte. Intanto Guédira, appassionato lettore delle avventure di Arsenio Lupin, viene contattato dallo stesso Diop che gli propone un piano per smascherare dei delinquenti coinvolti nel rapimento della madre, con la promessa che, a operazione conclusa, il ladro più scaltro del mondo si sarebbe costituito.
Capitolo 6 (43 minuti): Continua la protezione di Assane nei confronti della sua famiglia. In questo capitolo, infatti, vestirà i panni dell’allenatore di basket del figlio Raoul. Il tenente Sofia Belkacem si confronta con l’amico e collega Guédira, ammettendo di aver perso fiducia nei suoi confronti.
Capitolo 7 (51 minuti): Nell’episodio conclusivo, Assane Diop si rivela alla sua famiglia e mantiene fede alla promessa fatta a Guédira. Regolati i conti con Jean-Luc Keller, vecchia conoscenza di Assane Diop e ideatore del rapimento della madre, il moderno Lupin fa scarcerare l’amico Benjamin e la fidanzata di Keller, poi si fa arrestare. In carcere troverà un vicino di cella tutt’altro che sconosciuto: si tratta di Hubert Pellegrini, per mano del quale Babakar Diop era stato ingiustamente accusato e condannato.
3. Analisi del corpus
Presentiamo di seguito, dapprima in modo schematizzato, poi più analitico, le imprecazioni e gli insulti raccolti all’interno del corpus Lupin. Come già accennato, per la classificazione dei termini tabù abbiamo tenuto conto degli studi di Azzaro (2005), la cui categorizzazione si basa sostanzialmente su due elementi: la funzione del termine tabù – swearing o insult – e il campo semantico in cui esso si inserisce (psichico, fisico, sessuale, scatologico o religioso). Per maggiore chiarezza, procederemo prendendo in esame tre lessemi chiave del linguaggio ingiurioso francese – putain, merde e foutre – e concluderemo mettendo in luce gli ulteriori insulti rilevati nei sette episodi di cui sopra.
3.1. Putain
Tra le espressioni volgari di uso comune nelle conversazioni francesi, troviamo il termine putain, che viene pronunciato quattro volte all’interno del nostro corpus. La sua origine è certamente triviale e facilmente riconducibile alla prostituzione. Tuttavia, come mostrano gli esempi riportati in tabella e, in particolar modo la trasposizione che di essi viene fatta in italiano, putain viene abitualmente usato come imprecazione. Senza alcun dubbio, nella lingua italiana, l’equivalente più adeguato del termine sarebbe cazzo, che ben si inserirebbe nelle frasi di cui sopra, se facessero parte di un’interazione spontanea. È qui, però, che interviene una prima forma di censura, probabilmente di natura culturale: gli spettatori sono consapevoli di guardare una serie televisiva francese, non americana, in cui momenti di azione si alternano a situazioni più divertenti o romantiche. Il registro più pertinente, quindi, non è quello dei film di spionaggio americani in cui abbondano la violenza verbale e il doppiaggese – ormai accettati in maniera consolidata dal pubblico – ma un registro familiare, con espressioni volgari variegate che non urtino la sensibilità dell’italiano all’ascolto. A nostro parere, la buona riuscita delle battute francesi nella versione doppiata sta proprio nelle diverse scelte traduttive effettuate (merda, cazzo, porca puttana) che rendono il dialogo verosimile. Un ricorso costante al termine cazzo si sarebbe percepito come troppo marcato all’interno di quel contesto filmico.
3.2. Merde
L’altra imprecazione pronunciata in cinque occasioni è merde. In questo caso, il doppiaggio si è rivelato più fedele all’originale, proponendo merda come unico valido lessema per la lingua italiana. Possiamo affermare che, in questo caso, tra francese e italiano non si rileva una grande differenza d’uso: il termine, appartenente al semantismo della scatologia, ricorre con frequenza all’interno di conversazioni autentiche familiari, sia con valore generale di imprecazione sia accompagnato dalla preposizione di, per qualificare in maniera rafforzata il sostantivo che lo precede: una spia di merda. In un solo caso, nel capitolo 4 della serie, l’imprecazione francese pronunciata da un uomo distinto che lavora in ambienti borghesi, viene attenuata nella versione italiana e restituita con Accidenti!. È opportuno precisare, infatti, che nell’immaginario culturale italiano, la parola merda ha un’accezione unicamente negativa, motivo per il quale viene pronunciata in contesti critici, per sottolineare fastidio, disagio e indicare il carattere spregevole di qualcosa. Diversamente, la lingua francese, adottando il termine anche come forma di incoraggiamento – in occasione di un esame, ad esempio – gli attribuisce una valenza positiva e la rende adattabile a diversi contesti. In questo modo, una persona distinta che impreca contro l’evento avverso esclamando tra sé e sé o ad alta voce Merde!, risulterà meno inappropriata in Francia che in Italia.
3.3 Foutre
L’ultimo termine analizzato separatamente rispetto alle espressioni che seguiranno è foutre. Di origine triviale, il verbo, traducibile in italiano con fottere, è ormai entrato nell’uso colloquiale della lingua, perdendo spesso la sfumatura volgare che in realtà gli appartiene. Si tratta, infatti, di una trasposizione di ficher, forma verbale del registro standard. La sua forza perlocutoria varia in funzione della collocazione all’interno della frase, come evidenziato dagli esempi riportati nella tabella sopra e come ci accingiamo a vedere nel dettaglio:
se foutre de la gueule de quelqu’un (Lupin, capitoli 1, 6) significa “prendere in giro qualcuno, comportandosi male nei suoi confronti”; una proposta traduttiva per l’italiano potrebbe essere prendere per il culo qualcuno, dove il termine culo garantirebbe all’espressione l’appartenenza a un registro volgare. Tuttavia, poiché è il tenente Sofia Belkacem a pronunciare la battuta, nella versione italiana si è optato per il registro standard (“E si prende gioco di noi!”).
foutre la paix (Lupin, capitolo 2), “lasciare in pace”. L’espressione francese è colloquiale, percepita come volgare, proprio per l’aggressività insita nell’espressione stessa. La si potrebbe rendere in italiano con togliersi dalle palle, accettando quindi una variazione sul punto di vista: l’azione non è più rivolta verso il locutore, ma si riferisce al destinatario.
s’en foutre (Lupin, capitoli 1, 2), “fregarsene”. Benché la lingua italiana accolga anche l’uso di fottersene, la traduzione proposta sembra essere più efficace, quindi preferibile, perché riconosciuta e utilizzata in maniera omogenea dagli italiani. Non si può dire lo stesso di fottere, fottersene o fottuto, parole spontaneamente utilizzate in alcune regioni d’Italia, ma percepite come forzate e troppo volgari in altre.
Qu’est-ce que tu fous là ? (Lupin, capitoli 3, 5) è una locuzione gergale, derivante dall’argot, che si potrebbe tradurre con “che cavolo ci fai qui?” per mantenersi su un registro colloquiale, ma più comunemente risolto nel “Che ci fai qui?”, proposto nella serie doppiata.
Foutu + sostantivo (Lupin, capitoli 1, 7), utilizzato con funzione di aggettivo, viene classificato dal dizionario del CNRTL7 (Centre National de Ressources Textuelles et Lexicales) come volgare. Alla traduzione più immediata, quale fottuto, si preferisce l’italiano maledetto che, pur perdendo la trivialità dell’espressione, conserva il carattere ingiurioso e di insulto. È così, infatti, che viene restituito al pubblico nella versione doppiata della terza stagione di Lupin.
3.4 Altri insulti
Per le espressioni conflittuali che seguono, frequenti ma con un valore perlocutorio minore rispetto alle precedenti, abbiamo preferito adottare una classificazione per campi semantici. La scelta si deve al fatto che putain, merde e foutre sono, a ragione, classificabili come termini tabù, cioè vietati in alcuni contesti. Al contrario, gli insulti studiati a seguire sono maggiormente tollerati, soprattutto in un contesto pubblico. Stando ai risultati emersi dalle analisi sul corpus, una modalità che trova ampio riscontro nelle pratiche interazionali è quella di offendere l’avversario in modo perentorio o attraverso una domanda retorica, mettendo in dubbio le sue abilità intellettive, come dimostra la tabella:
Le ingiurie sopraccitate si costruiscono attorno a due concetti chiave: l’anormalità e l’inettitudine; l’anormalità si concretizza linguisticamente nell’uso di malade, fou, ouf, dove è proprio la salute mentale ad essere messa in discussione. Il doppiaggio di questi aggettivi rispetta scelte terminologiche affini nella lingua italiana, ma con una maggiore variazione sinonimica secondo cui lo stesso termine viene tradotto in modi differenti: è il caso di malade restituito come malato, impazzito, pazzo. Quanto all’inettitudine, bouffon/ne, idiote e nul (buffone/a, idiota e incapace) rinviano al mancato sviluppo di determinate competenze e abilità. In questo caso, la trasposizione che colpisce maggiormente riguarda nul: la forza e l’immediatezza insite nell’ingiuria francese non sono venute meno nel doppiaggio in italiano per una scelta che riteniamo molto efficace; infatti, data l’impossibilità di tradurre l’aggettivo con una sola parola, la versione doppiata ha optato per fai schifo! e Tanto tira di merda. Meno abituale è, invece, il ricorso a ingiurie riferite a parti del corpo o alla scatologia (Tabelle 5, 6).
Il termine con da cui derivano conne, connerie e déconner si riferisce volgarmente all’organo sessuale femminile, ma è più comunemente utilizzato come insulto dal significato di stronzo/a; da qui la traduzione di conneries con stronzate. Tuttavia, l’alta frequenza d’uso del termine nel linguaggio colloquiale giustifica la scelta italiana di lessemi meno marcati quali idiota e stupida. Lo stesso déconner troverebbe il suo equivalente italiano in dire stronzate ma, tenuto conto del contesto in cui esso si inserisce, la scelta del verbo scherzare nella serie doppiata è di gran lunga migliore.
A conclusione della classificazione inseriamo l’unica battuta ingiuriosa rinvenuta in riferimento alla sfera scatologica, oltre al già citato merde.
La definizione di chier che troviamo all’interno del dizionario CNRTL è “évacuer les excréments solides” (it. evacuare escrementi solidi). Il verbo è evidentemente considerato triviale, poiché corrisponde pienamente all’italiano cagare. Tuttavia, l’espressione faire chier, ancora una volta ampiamente diffusa tra i francesi, indica il fatto di infastidire qualcuno e, nel nostro caso, pronunciata a chiusura di una sequenza filmica, proprio nell’istante che precede il cambio di scena, assume un valore risolutivo. Nella versione italiana, infatti, Sei un rompipalle! sembra davvero mettere il punto finale alla discussione che ha appena avuto luogo tra i due colleghi, Sofia Belkacem e Youssef Guédira. Sarebbe stata accettabile anche la formula Mi hai rotto le palle! ma, a nostro avviso, la scelta dei doppiatori rispetta maggiormente il tu francese; in altre parole, il focus della battuta non si concentra sul locutore, che la pronuncia, ma sul destinatario che, ricevendola, accoglie appieno l’insulto.
Prima di passare alle conclusioni, vale la pena aggiungere una precisazione relativa alle tipologie di insulto che il corpus ha messo in evidenza. Se, da un lato, riconosciamo alle imprecazioni (merde, putain) una validità universale, in quanto applicabili a diversi contesti senza subire modifiche linguistiche, dall’altro, gli insulti si delineano come elementi marcatamente personalizzati8 e possono distinguersi in diretti e indiretti: i primi hanno come obiettivo la produzione di un’offesa nei confronti di se stessi (Ah ben non, j’suis con – cap. 1) o dell’interlocutore (T’es fou en fait. T’es réellement fou – Cap.1). Gli altri si rivolgono, invece, a terze persone che, presenti o meno sulla scena, sono escluse dallo scambio interazionale (Il est ouf, lui – cap. 3).
4. Conclusioni
Nei paragrafi d’apertura, ci siamo soffermati sulle caratteristiche del linguaggio filmico, oggettivamente considerato una lingua verosimile, scritta per essere letta, o meglio recitata. Abbiamo notato come, secondo alcuni studiosi, la mancata autenticità dei dialoghi cinematografici abbia una ripercussione sulla scelta delle strutture espressive, generando una lingua standardizzata, che tende a non rispettare le varietà linguistiche. Alla luce delle analisi effettuate, ci sembra quindi opportuno precisare che questa osservazione non ci trova in totale disaccordo, ma meriterebbe una riflessione più approfondita: la varietà del linguaggio viene introdotta se il pubblico è pronto ad accettarla. Una scelta diversa potrebbe comportare, infatti, il mancato successo del film. Nel caso di Lupin, il doppiaggio ha tenuto fortemente conto della sensibilità e della tolleranza verso le espressioni volgari da parte del pubblico italiano. In questo senso, nel pieno rispetto del contesto situazionale e della classe sociale di appartenenza dei personaggi, sono stati utilizzati termini talvolta riconducibili a registri linguistici diversi, nella lingua di partenza e nella lingua d’arrivo. Proprio questo, però, ha garantito e continua a garantire il successo della serie: la storia è accattivante, gli attori sono indiscutibilmente bravi, ma altrettanto lo sono i doppiatori, grazie ai quali la lingua utilizzata nelle diverse scene sembra essere ben lontana dal doppiaggese, proprio dei film americani, e si avvicina notevolmente al parlato-parlato. L’attenuazione di alcune espressioni ingiuriose o la loro totale omissione si sono rivelate due strategie funzionali alla buona comprensione del film in una lingua diversa da quella d’origine: è, quindi, altamente probabile che la sensibilità del pubblico italiano differisca da quella del pubblico francese.
Resta da esplorare la versione sottotitolata della serie, che potrebbe dirci qualcosa di più al riguardo perché, se nel doppiaggio la parola tabù verbalizzata si perde con il cambio di inquadratura, nel sottotitolo, permanendo qualche secondo sullo schermo, risulta ben chiara e leggibile.
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